Donna di dolori

Autore:   Patrizia Valduga

Allestimento a cura di:   Luca Ronconi
Luci:   Sergio Rossi

Interpreti:   Franca Nuti

Produzione:   Teatro Stabile di Torino


Prima rappresentazione
Teatro Carignano, Torino
16 marzo 1992

Foto / Bozzetti / Video

Le parole di Luca Ronconi


Trasformare la poesia in uno spettacolo teatrale, ecco l'obbiettivo che mi sono posto quando ho deciso dì metter in scena questo monologo. Cosa l'ha attratta in questo testo? In primo luogo il fatto che sia stato pensato, come dice la didascalia iniziale, per essere messo in voce. Non è facile, naturalmente, ma mi sembra una storia interessante dì cui voglio sperimentare l'efficacia. A attrarmi non sono stati dunque i contenuti, per quanto affascinanti, ma questa contaminazione tra due linguaggi. Cosa significa mettere in scena la poesia? È un approccio diverso rispetto a quello teatrale. Ci si confronta con un testo per voce e non per scena, non c'è nulla che faccia spettacolo, mancano completamente le indicazioni dell'autore, così come l'azione e i rapporti tra i personaggi. Tutto sì riduce e sì riassume nel testo, quindi è chiaro che si tratta di un lavoro fondato esclusivamente sulla voce
Intervista di Franco Garnero
«Il Giorno»
2 marzo 1992

Rassegna Stampa

dal Patalogo 15 (Ubulibri, Milano, 1992

per gentile concessione dell'Associazione Ubu per Franco Quadri
 


So leggere, ascoltare, memorare, recitare in silenzio, coabitare con una poesia; e il miglior suono dei versi di Valduga è quello che circola nella mia mente. Ogni voce recitante, sia pure quella intensa, riccamente modulata e con slanci drammatici di Franca Nuti (attrice che ammiro molto), non può competere con quel suono interiore che circola tra il mio occhio che legge, il cervello che ci ragiona sopra e l'imprecisata sede delle emozioni. Per questo motivo sono sempre molto sospettoso di ogni lettura di poesia, sia pure quella fatta dal poeta stesso.
Guido Almansi
«Panorama»
12 aprile 1992
Nessun regista era più adatto di Luca Ronconi a dare veste teatrale a questo monologo non solo per la sua leggendaria propensione all'indagine della parola e della lingua ma anche per una sua costituzionale sensibilità alla poesia. Il risultato è uno spettacolo di misura esemplare, visivamente costruito 'a togliere', a partire dalla scena che è una pedana nera sormontata da un cubo anch'esso nero le cui pareti-sipario si aprono mostrando una donna nerovestita colpita dall'alto dalla luce obliqua e fissa di un riflettore. Una donna quasi crocefìssa alla sua pietra tombale, nera anch'essa, che si muove e si orienta fino a porsi perpendicolarmente agli spettatori. Una bocca che parla, un nodo di pulsioni e, soprattutto, una superlativa Franca Nuti che ha saputo assecondare il regista dando corpo, voce e senso a questa sfida. Dalla visceralità al quasi straniamento, dall'ironia all'inquieto interrogarsi, Franca Nuti ha costruito questo monologo non come una mattatoriale serata d'onore, ma con l'intelligente sensibilità baciata dal talento dell'attore strumento della parola, nodo di emozioni.
Maria Grazia Gregori
«L'Unità»
26 marzo 1992
Questo poemetto è diventato monologo, che è tutto straziata verità poetica nella trasfigurazione verbale e gestuale di Franca Nuti, che fatta salma di brevi e rigidi movimenti, e di espressività potente, intrattiene e inchioda il pubblico al Teatro Studio, che finalmente la incorona di applausi e di lodi riconoscenti, salutandola assoluta attrice drammatica quale essa è. Questa sua proposta scenica continua nell'eccellenza un lungo magistero d'arte, che ultimamente ha annoverato auspice Luca Ronconi: Ignorabimus di Arno Holz, I dialoghi delle Carmelitane di Bernanos e Tre sorelle di Cechov. Queste sono le ultime di 35 creazioni che hanno fatto dell'attrice un 'bene' del teatro italiano del dopoguerra: un valore riconfermato in questo atto di sfida che è - sempre con la guida sensibile di Ronconi - l'aver messo in scena Donna di dolori, un testo da taluno (al solito) ritenuto voce di 'sola ad solum'. Ma, appunto, la Nuti rende pubblico (la quantità) un unico e palpitante e silenzioso ascoltatore, chiuso nel cerchio intimo della poesia.
Odoardo Bertani
«L'Avvenire»
26 marzo 1992