Utopia

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Le parole di Luca Ronconi


A Venezia nei 40 metri di spazio della strada, ricreata dalla scenografia di Damiani, ai lati della quale, su gradinate, era seduto il pubblico, si svolgeva lo spettacolo. Passavano prima aerei e macchine e poi, in un continuo fluire – mentre il Discorso Giusto e il Discorso Ingiusto, personaggi delle «Nuvole», contendevano tra loro –, letti, pitali, pantofole, telefoni e fotografie di zii e di cugini sui comodini. Quasi un museo della classe media. Alle automobili si sostituivano gli arredi domestici con personaggi già tutti vestiti che dormivano, russavano: un’associazione immediata con il traffico urbano. Al contrario di quanto avveniva nell’«Orlando», qui non era il pubblico a muoversi, ma lo spettacolo a passargli davanti, grazie a un movimento che sembrava una processione. Perché tutto si muoveva: su ruote, su rotelle, a piedi...Il popolo dell’antica Atene si era motorizzato e, al posto dell’agricoltura, aveva scoperto il consumismo. Da questa scelta del flusso continuo nascevano molti problemi per gli attori, perché la loro presenza non poteva che essere un passaggio, una specie di corrente nella quale tutte le azioni partivano da un capo della strada, la percorrevano interamente e sparivano dall’altro capo, dietro le spalle del pubblico. Il problema era enorme e fece nascere in alcuni l’idea che quello spettacolo non fosse recitato bene. Mi sono chiesto le ragioni di quest’impressione e mi sono reso conto che dipendeva dal fatto che alcuni attori si prefiggevano uno scopo impossibile da realizzare: concentrare su di sé l’attenzione permanente degli spettatori di fronte ai quali passavano. Così, invece che in uno stimolo, la cosa si trasformava, per loro, in un momento di frustrazione.
«Luca Ronconi. Prove di autobiografia»
a cura di Giovanni Agosti (Feltrinelli, 2019), pp. 238-239