Medea


Prima rappresentazione
Schauspielhaus, Zurigo
26 novembre 1981

Foto / Bozzetti / Video

Le parole di Luca Ronconi


È possibile rappresentare la «Medea» di Euripide secondo due strade: il punto di vista della protagonista o quello del destinatario. Il regista, di riflesso, si identifica nell’autore che racconta un personaggio conosciuto oppure si mette dalla parte del pubblico e allora la storia di Medea a Corinto potrebbe essere rappresentata come la storia di un’epidemia che avrebbe potuto aggredire Atene. Questo è lo spunto da cui sono partito per la regia di Medea allo Schauspielhaus di Zurigo nel 1981. Nulla a che fare con la sociologia né con il sottotesto, ma qualcosa che – ne ero certo – apparteneva realmente alla tragedia. Medea l’ho pensata dunque come uno spettacolo rivolto agli Ateniesi, nel quale si racconta della messa in crisi di Corinto, come un ammonimento per la minaccia che avrebbe potuto abbattersi sulla città. E Medea sul suo carro alato è un’ambasciatrice di disastri, di distruzione dei figli. Così la scena, spesso tagliata, di Egeo (arrivava tra donne incinte, con il pancione, e lui stesso era rappresen- tato come afflitto da una specie di gravidanza da cui non si poteva liberare), che viene a trovarla a Corinto, preoccupato della sua sterilità, per me diventa centrale. Perché Egeo è il re di Atene e la chiave del testo è l’apertura delle porte di Atene a Medea, una straniera, una diversa. Il Prologo era rappresentato da una nutrice molto arcaica, molto orientale, molto “mammelle”, molto madre. Non una suora laica, ma una nutrice che è, per certi aspetti, un’immagine di Medea, l’apparizione della quale stava a sottolineare il modo progressivo in cui un personaggio si insinua, distrugge e degrada tutta una serie di istituzioni. Il primo mutamento avviene nel coro, dentro quelle stanze dove tante donne, di tipo svizzero, vivono tranquille. L’apparire di Medea tra loro è insinuante: prima crea intorno a sé un gruppo di sostenitrici; poi, degradandolo di fronte a loro, fa fare a Creonte, il signore della città, la figura dello stupido. Di degradazione in degradazione, il carattere passionale e di vendetta della storia è completamente accantonato. Giasone non viene presentato come un traditore, la cosa da colpire, ma come un vero eroe. E abbastanza bello – e giusto, in quest’ottica – era il fatto che, prima di uccidere i figli, Medea li trasformasse in piccoli cittadini corinzi, in tutto e per tutto simili a quegli uomini muti che facevano parte del coro, tanto che lei li uccide in quanto omologati a quel mondo. La distruttività di Medea si evidenzia nella scena del messaggero che ho realizzato, forzandola, con Medea che lo obbliga a raccontare la morte di Creusa, non per farsi dare una notizia ma perché la notizia le fa piacere: un ometto della strada completamente schiacciato dalle richieste di particolari raccapriccianti che gli fa questa donna dominante. A segnare il passaggio da una situazione a un’altra, a ribadire un’idea di scorrimento continuo, c’erano dei pannelli di rete di ferro, perpendicolari alla ribalta.
«Luca Ronconi. Prove di autobiografia»
a cura di Giovanni Agosti (Feltrinelli, 2019), pp. 239-241