Lolita sceneggiatura

Autore:   Vladimir Nabokov
Traduzione:   Ugo Tessitore

Scene:   Margherita Palli
Costumi:   Jacques Reynaud
Luci:   Gerardo Modica
Musiche (a cura di):   Paolo Terni

Personaggi - Interpreti:
Humbert Humbert - Franco Branciaroli
Istruttore di polizia, Poliziotto, Membro di facoltá, detective - Francesco Colella
N., Vladimir Nabokov, Vivian Darkbloom - Giovanni Crippa
Animatore, Giovane cameriere, Roy, Studente Shatzki - Igor Horvat
Mrs. Nancy Withman, Mrs. Ann Chatfield, Direttrice di Camp Q, Manovratrice, Mrs. Cormorant, Mrs. Emma King, Mary Lore, Mrs. Diano Fowler - Manuela Mandracchia
Lolita - Elif Mangold
Mrs. Chatfield, Mr. Yung, Deliquio, Mrs. Fowle - Fernando Maraghini
Charlotte Haze - Laura Marinoni
Rex, Giocatore di football - Stefano Moretti
Prima ragazza al ballo, Louise, Muna - Franca Penone
Mrs. Grey, Cameriera, Mrs. Shatzki - Valentina Picello
Clare Quilty - Massimo Popolizio
Kenny, Charlie - Sergio Raimondi
Lolita - Galatea Ranzi
Potts, Dick - Valentino Villa
Dottor John Ray - Antonio Zanoletti




Prima rappresentazione
Teatro Strehler, Milano
22 gennaio 2001

Foto / Bozzetti / Video

Le parole di Luca Ronconi


Su un piano strettamente tecnico, uno dei motivi di maggiore interesse della messa in scena di un testo non teatrale come “Lolita” è stato proprio quello di verificare se e come la rappresentazione di una sceneggiatura, comportando inevitabili forzature dei più convenzionali schemi del linguaggio drammaturgico nel tentativo di trovare gli opportuni correlati teatrali ai costrutti cinematografici e letterari di partenza, potesse schiudere nuove possibilità di scrittura per la scena. Un po’ come era accaduto con il “Pasticciaccio” o con “I Fratelli Karamazov” – ma anche con “Orlando furioso” o con “Gli ultimi giorni dell’umanità” – anche il lavoro su “Lolita” è stato in parte guidato dalla volontà di riflettere sullo stato attuale della nostra drammaturgia. A ben guardare, il ragionamento intorno ai rapporti tra lo screenplay di “Lolita” e i codici drammaturgici oggi imperanti può essere impostato da due prospettive opposte, con esiti complementari. La molteplicità di livelli di articolazione della trama e la forte “letterarietà” del testo nabokoviano sono poco funzionali a soddisfare quelle esigenze di attendibilità che sono proprie del cinema e rendono invece la sceneggiatura più conforme al linguaggio teatrale, strutturalmente segnato da una forte convenzionalità. D’altra parte però la raffinatissima scrittura di Nabokov, trasferita in teatro, non può non indurre ad un ripensamento dell’organizzazione convenzionale dei codici drammaturgici, invitando, con la proliferazione dei suoi piani di lettura, alla massima libertà sintattica nell’organizzazione della messa in scena.
Intervista dal programma di sala

Rassegna Stampa

dal "Patalogo 24" (Ubulibri, Milano, 2001) 
per gentile concessione della Associazione Ubu per Franco Quadri 


Supera ogni aspettativa l'attesissima Lolita-Sceneggiatura di Luca Ronconi al Piccolo Teatro: come dice il titolo infatti non è semplicemente uno spettacolo. Mettendosi sulla scìa di Nabokov, che aveva suscitato uno scandalo con un romanzo nato come gioco letterario travestendo il proprio approccio a una lingua e ai misteri di un continente nella vicenda di un immigrato catturato dal miraggio di una ragazza definita con un neologismo "una ninfetta", il regista inventa un genere."
Franco Quadri
«La Repubblica»
23 gennaio 2001
È come se Ronconi rivendicasse al teatro una qualità super partes, in grado di coniugare e dominare reperti, stimoli, suggestioni culturali eterogenee, romanzo, sceneggiatura, film, ma anche pittura e colonne sonore dell'epoca (ben captate da Paolo Terni) e poi anche assorbire atmosfere e intermittenze del cuore e della mente, che vengano dai melò di Douglas Sirk, dalle massaie rese monumento dallo scultore Duane Hanson o da un'auto d'epoca, un bikini o un costume intero. E c'è anche la capacità del teatro di reinventare queste suggestioni a volte alterandone le proporzioni, come nei sogni: una sesquipedale cornetta del telefono o un modellino di casa calato dall'alto. Insomma, un teatro che riscopre le potenzialità dei proprio linguaggio, magari metabolizzandone altri, dimostra ancora una vitalità e una necessità. E allora può allestire e celebrare benissimo una delle tragedie contemporanee, dove l'ostacolo è interno al protagonista e non esterno come in quasi tutte le storie d'amore difficili e il desiderio reso colpevole dalla consapevolezza e dalla cultura: non a caso Humbert Humbert (ma anche Quilty) è uno scrittore.
Rita Cirio
«L'Espresso»
8 febbraio 2001
Ne consegue che lo spettacolo, comunque impregnato di una forte componente epico-narrativa, non ha mai i caratteri di una semplice trasposizione 'oggettiva' degli avvenimenti sviluppati dall'autore, con tutti gli appiattimenti, con tutte le perdite di sfumature, con tutte le limitazioni anche di tipo linguistico che ciò comporterebbe nel passaggio dalla scrittura al palcoscenico: e anzi in qualche modo diventa proprio una forma di rappresentazione di quella scrittura, ne conserva non solo l'architettura espressiva e la sontuosità lessicale, ma anche la capacità di penetrare nell'interiorità dei personaggi, di illuminarne sentimenti e stati d'animo, come se loro stessi avessero l'opportunità di agire e nel contempo di osservare la propria azione dall'esterno. Anche le bellissime scene di Margherita Palli, anche i costumi un po' da quadro pop di Jacques Reynaud palesemente non hanno solo la funzione di fornire una concreta collocazione alla vicenda, ma per certi versi la commentano, la analizzano, ne costituiscono la ramificata proiezione visiva: quegli arredi che precariamente passano montati su carrelli, quegli oggetti che scorrono su invisibili ruote, i frigoriferi, le abat-jour, le vecchie pompe di benzina, e quei modellini di città più o meno iperrealistici, quelle immagini elettroniche che li sdoppiano sullo sfondo, e quell'auto dalle linee tondeggianti che diventa un po' l'emblema dell'errabonda provvisorietà dei protagonisti, non evocano ambienti stabilmente definiti ma compongono il segmentato affresco di un'epoca e di un modo di vivere.
Renato Palazzi
«Il Sole 24 Ore»
28 gennaio 2001
Cinematograficità a parte, il copione di Nabokov è, e del resto non poteva non essere, gustosissimo; e la messinscena di Ronconi è una pura e ininterrotta delizia, leggera e festosa come talvolta al nostro capita di essere (anni fa in un Oberon di Weber qui alla Scala, per esempio). Gran parte del merito va alla scenografia di Margherita Palli, un lungo muro orizzontale alto forse due metri e mezzo sotto enormi schermi che ospitano colorite proiezioni computerizzate tipo playstation - vedute, fotografie, dettagli di arredamento, con giocosi interventi di figure che li percorrono, farfalle, mettiamo, o mucche. Queste interagiscono con oggetti solidi che vanno e vengono - uno scalone, un'auto d'epoca, un immenso ricevitore del telefono. Elementi di arredamento - sedie, mobili, cabine telefoniche, pompe di benzina - entrano ed escono scorrendo lateralmente con impeccabile coordinamento. Il vasto spazio scenico del Giorgio Strehler diventa così una magica scatola di giochi sempre nuovi, e cullati da tanti costosi prodigi sì perde il senso del tempo.
Masolino d'Amico
«La Stampa»
23 gennaio 2001
Lo so anch'io. Di grandi spettacoli, di spettacoli bellissimi e importanti se ne sono succeduti tanti sul palcoscenico del Piccolo Teatro, da quando ha riaperto, a Milano, nella bella sede disegnata da Marco Zanuso. Eppure, lunedì sera, alla prima rappresentazione di Lolita è successa una cosa del tutto straordinaria. Chi era presente, lo ha sentito. Era come se, finalmente, il Piccolo fosse davvero resuscitato. Un evento, per la città. Non c'entra l'orgoglio. Una grande gioia, piuttosto. E la sensazione di trovarla, quella gioia - o addirittura la sensazione di contribuire a produrla - insieme con tanta altra gente.
Emilio Tadini
«Corriere della Sera»
24 gennaio 2001
Questo desiderio assolutistico e arrogante di conseguire la beatitudine si rovescia tuttavia nel disprezzo del mondo e nella sontuosità dello stile: una inclinazione quasi diabolica alla metafora e all'aggettivazione. Non solo a un'aggettivazione ridondante e sublime, ma a un'aggettivazione che quasi sempre precede, vanificandolo, il sostantivo. D'altra parte, il virtuosismo di Nabokov, che si moltiplica in quello di Ronconi, è ben noto. Tutto consiste nel non nominare la cosa, cioè nel!alludere sempre all'arbitrio, alla condizione della poesia, o del sognatore: unico protagonista della storia. Tanto più nello spettacolo di Ronconi, dove il raddoppiamento vocale di Lolita la riduce alla condizione di vero barbaro. Nella prima parte, il Paradiso, era una ninfa; nella seconda non è che una consumatrice. In Lolita non c'è Inferno, c'è solo un rozzo Purgatorio, quanto di mondano (quasi tutto) c'è nella nostra vita moderna, 'americana'.
Franco Cordelli
«Corriere della Sera»
23 gennaio 2001
Nello spettacolo di Ronconi c'è piuttosto il piacere acre di scoprire, attraverso l'attrazione insana di Humbert, uno scenario americano e universalmente piccoloborghese, di famiglie fittizie, di valori sociali fasulli acclamati in festicciole di high school o di orrifici e plaudenti club femminili, di vicini impiccioni e di ospedali ambigui quanto i nidi amorosi di grand hotel nel verde e di motel ai bordi dell'autostrada. Il mito consumistico della giovinezza a tutti i costi, che si allarga dal fitness al lifting all'acquisto brutale dell'altrui giovinezza, scopre la sua colpevole incoscienza. La passione malata di Humbert è insomma più vicina a quella di Faust che non a quella dell'adescatore con caramelle. I paesaggi esterni che sugli schermi si muovono, scorrono, guizzano e si intersecano, sono grandiosi e insieme squallidi quanto quelli interiori di Humbert e di Lolita, della madre di lei e di Quilty, e via via degli altri personaggi che affollano quell'imprendibile America.
Gianfranco Capitta
«Il manifesto»
23 gennaio 2001
Legato anche da una passione di entomologo allo scrittore russo specializzato in pastiche letterari e linguistici, Ronconi è per sua natura portato a sperimentazioni sempre nuove; e anche ad amare l'impossibile come il protagonista di questa storia. Ma si tratta anche di demistificare dopo cinquant'anni un'ossessione scambiata per pedofilia da chi non ha letto il libro.
Franco Quadri
«La Repubblica»
cit.
Ronconi, alle prese con quello che agli occhi di tanti è ancor oggi erroneamente considerato un classico della pornografia, non si limita a tramutarlo in una pièce. Lo trasforma a vista in un film che si gira in teatro con gli strumenti in dotazione al palcoscenico cui aggiunge, da teatrante edotto dalla tecnologia avanzata, giganteschi schermi panoramici, una rutilante grafica da computer, il solito perfetto marchingegno dei carrelli che andando e venendo mimano i movimenti di macchina più sofisticati che mai cineasta abbia inventato piazzando inoltre, alla sinistra dello spettatore, uno studio di doppiaggio in miniatura dove una delle sue predilette, Galatea Ranzi, traduce disinvolta in italiano le chiacchiere di Lolita che in questa edizione, ohibò, parla in inglese assorta in un mondo che tutto è, si evince, fuorché l'universo romantico e decadente in cui è precipitato il suo maturo amante.
Enrico Groppali
«Il Giornale»
23 gennaio 2001
Con proiezioni su ampi schermi che duplicano, triplicano e comunque rimandano la stessa immagine, dall'infinitamente piccolo allo smisuratamente grande, fra macchine d'epoca che vanno e che vengono, giganteschi letti e cornette telefoniche, realistiche cabine, fra motel, mitologie e bidonville americane, fra oggetti quotidiani che nel loro fluire ci "raccontano frammenti di vite senza qualità, fra sostituzioni di persona, in una mistura deflagrante di fisicità e di parola, di pieni e di vuoti concettuali e figurativi (le scene, in continuo mutamento, un gran lavoro per l'equipe tecnica, sono di Margherita Palli), Luca Ronconi gioca da par suo con un mito letterario e cinematografico e lo trasforma in teatro. E ci regala una Lolita plausibile e intrigante nell'adolescente debuttante Elif Mangold cheparla in americano 'doppiata' dalla bravissima Galatea Ranze. Fra ironia e derisione, fra giallo e inquietante anatmia di un amore finito, fra spaesamento e spiazzamento fino alla scena finale costruita come un melodramma, il regista, che si mette anche in scena nel ruolo di sé stesso, cioè di deus ex machina della storia, costruenedola e riassumendola come un Regista esigente, fra le luci crude di Gerardo Modica, sull'onda delle musiche di Paolo Terni, nella chiave ora ironica, ora sentimentale, ma mai realistica, gioca con l'immaginario della sua lanterna magica.
Maria Grazia Gregori
«www.delteatro.it»
23 gennaio 2001
Questa spettacolarizzazione globalizzante spiazza del tutto lo spettatore che resta senza fiato all'inizio, in diretta connessione con l'ingresscrdel protagonista in un mondo che non conosce e non vuol penetrare: e rivive con la feroce ironia di Nabokov la volgarità della provincia Usa, parodiando a un tempo la sophisticated comedy, che trova dei segni stilisticamente perfetta nei gesti e nella voce dell'esilarante Laura Marinoni, madre di Lolita ed effimera moglie di Humbert. Ma nel succedersi pressante e non realistico di spezzati d'ambiente evocati dalla fluidità del racconto, l'attenzione si ferma spesso anche su dettagli curiosi messi a fuoco con sarcastico minimalismo.
Franco Quadri
«La Repubblica»
cit.
Ma è Franco Branciaroli a dare a Humbert il suo spessore tragico, a conferigli un destino, legandolo più alla sua cultura a brandelli (di un secolo a brandelli) e quindi alla sua pazzia (di un secolo pazzo) che a qualsiasi facile pubescenza. Nella sua incapacità di mutare strada che ce lo mostra alla fine della tragedia sono di tale quale era all'inizio, Humbert-Branciaroli ci offre una verità sgradita e inconfutabile. Il mondo di Nabokov, che è poi il nostro, è un mondo nel quale l'’uomo non si sa più liberare di nulla, nel quale il passato è peso e non ricchezza, e il presente una fuga: di motel in motel.
Luca Doninelli
«Avvenire»
24 gennaio 2001
Tre prestazioni sono strepitose. Laura Marinoni è una impagabile madre di Lolita, basta vedere come porta un costume da bagno anni '50. Galatea Ranzi è superba nella rassegnazione, civetteria e fondamentale innocenza di Lolita non più bambina. E Franco Branciaroli dalla splendida voce ahimé filtrata dai microfoni a quanto pare indispensabili in questo teatro è formidabile per energia, mìmica, umorismo.
Masolino d'Amico
«La Stampa»
cit.
Ciò che lo spettatore riceve, in 270 minuti di rappresentazione, è allora un magma volutamente accavallato di immagini in movimento, dal quale vengono suggestioni, atmosfere, sorprese, citazioni, allusioni, artifici, scoperte, sottotesti, dramma e melodramma, prove di abilità. In una parola, godimento. (...) Il pubblico capisce, 'sopporta' fino in fondo. Se la prima parte vola rapida, fra l'incontro di Humbert con Lolita e le estroversioni made in Usa della madre di lei, Charlotte (brava Laura Marinoni), la seconda tranche, più lenta e angosciosa, rapisce con certi cromatismi preziosi (l'arancio torrido delle estati americane on the road, le teorie dei motel, i rossi equivoci delle camere da letto in cui Humbert ama la ninfetta); con la maturità recitativa (Galatea Ranzi dà il cambio all'esordiente non-attrice turcoamericana Elif Mangold); con il moto perpetuo dell'invenzione scenica (lo stesso Ronconi scende in pista, nei panni di se stesso, e guida gli interpreti 'in diretta'). Sbalorditiva la performance dei tecnici del Piccolo.
Rita Sala
«Il Messaggero»
24 gennaio 2001
Un gioco che ci lascia stupefatti, un vero e proprio manifesto teatrale, questo Ronconi on the road, dove il pubblico si trasforma nell'occhio della macchina da presa per spiare in diretta ciò che talvolta non si può dire.
Maria Grazia Gregori
«www.delteatro.it»
cit.