dal Patalogo 25 (Ubulibri, Milano, 2002)
per gentile concessione dell'Associazione Ubu per Franco Quadri
Doveva essere un evento, il salto decisivo di una manifestazione importante come quella delle rappresentazioni classiche di Siracusa, dalla routine degli spettacoli estivi al gran teatro internazionale. Rimarrà invece, soprattutto e purtroppo, il primo caso di censura preventiva del teatro dell'Italia repubblicana. Non era mai successo prima, dopo la fine del fascismo, che uno spettacolo fosse costretto ad 'amputarsi' di una parte, perché non possono essere raffigurate in scena le facce del potere, nella fattispecie quelle di Berlusconi, Bossi e Fini. Avrebbero campeggiato, nello scenario del teatro greco, in quella commedia profonda e complessa che Aristofane scrisse 2400 anni fa. Servivano a rendere immediatamente comprensibile (a un pubblico di diverse migliaia di persone ogni sera) il rapporto tra gli artisti, la loro divinità Dioniso, e la città, la polis greca che è stata fondamento della democrazia. Ma chi prende i soldi da Berlusconi non può offenderlo sulla scena, ha detto al regista Luca Ronconi il viceministro Gianfranco Micciché insieme al ministro per le pari opportunità Stefania Prestigiacomo, siracusana, a una cena a casa del prefetto. E domenica sera quelle grandi cornici sono apparse vuote, spettrali e interrogative, e non hanno reso giustizia al testo di Aristofane e agli spettatori che vi assistevano. Il fatto, o meglio i fatti, sono di una gravità clamorosa, sia nel merito sia nella forma che per il livello delle persone coinvolte. I politici 'consigliano' di oscurare una parte di uno spettacolo prima ancora che quello spettacolo esista. Tanto meno quel 'consiglio' può essere giustificato, come è stato detto dal viceministro Micciché davanti a tutti i testimoni della cena (intellettuali stranieri ospiti del regista, ma anche l'esercito e la marina nelle persone degli invitati dal prefetto) dal fatto che 'si prendono i soldi da Berlusconi' e questo dovrebbe garantire allo stesso Berlusconi una sorta di intoccabilità. Tutto il teatro e lo spettacolo italiano sono finanziati in maniera quasi totale dallo Stato, che è altra cosa dal presidente del consiglio in carica, visto che i fondi sono pubblici in quanto vengono dalle tasche di tutti i cittadini. A rendere oltre che sinistra, inquietante tutta la faccenda, non si può dimenticare che tutto questo viene influenzato fortemente dal suo avvenire in Sicilia, dove ogni imposizione assume valenze di aggressività misteriosa. Perfino il 'disturbo' portato la sera di sabato alle Baccanti messe in scena dallo stesso Ronconi, oggi suonava in un'altra musica: non solo quella che veniva da un ignoto dj che presentava automobili, ma che ha costretto le stesse Baccanti a riprendere dall'inizio lo spettacolo. E la Sicilia, d'altro canto, dove la Casa delle Libertà possiede la totalità dei parlamentari dopo lo 'storico' risultato di un anno fa. Tutte cose che pesano, e molto, e vrebbero dovuto indurre a qualche prudenza. Innanzi tutto dai politici 'censori', che invece sfoderano sui giornali di ieri arroganza e sarcasmo nei confronti di Ronconi. Del resto non è chiaro quanto il regista abbia ceduto personalmente all'intimidazione, e quanto abbia dovuto uniformarsi alle scelte degli altri dirigenti del Piccolo Teatro e dell'Istituo Nazionale de Dramma Antico, accomunati nella produzione. Certo non si può non notare che entrambi gli enti sono attualmente in stato di 'sofferenza' politica. All'Inda sono in scadenza il presidente Walter Le Moli e tutti gli organismi scientifici e organizzativi. Al Piccolo è stato lo stesso direttore Sergio Escobar, la settimana scorsa, a denunciare la situazione anomala per cui è stata eliminata dal consiglio di arnministrazione ogni presenza dell'opposizione, e la totalità dei suoi membri sono in quota al Polo, cosa mai successa nell'istituzione milanese, e certo sintomo di una situazione non sana. Non si può non tener conto di questi due fatti, davanti al bombardamento cui la politica e la Casa delle Libertà hanno sottoposto uno spettacolo e il suo autore. Stupisce semmai che da parte dell'Inda e del Piccolo e dello stesso Ronconi, quelle avances siano state accettate, per ragioni di 'opportunità' di andare in scena che oggi suonano, civilmente, stonate. Anche perché molti tra gli attori sostenevano di non voler accettare la decisione, e i tecnici volevano a loro volta scendere in sciopero.
Gianfranco Capitta
«Il Manifesto»
21 maggio 2002
Le tre caricature di Siracusa rappresentavano uomini di governo, mentre le sovvenzioni sono appunto statali, provengono dall'intera comunità. Mille volte è successo nel teatro dei nostri giorni che si alludesse agli uomini politici più in vista, lo si fa da destra al Bagaglino o da sinistra all'Ambra Jovinelli. Il vituperato Luttazzi, senza troppi finanziamenti, lo fa ogni giorno. Lo fanno ogni momento Fo e Paolo Rossi. Nel 1994 proprio a Siracusa, primo governo Berlusconi, durante un Prometeo si era sentito un attore irridere il cavaliere forzista e non vi erano state che piccole scaramucce tra il pubblico. Perché tanto accanimento con Ronconi, di fronte a uno spettacolo sofisticato come può esserlo un suo spettacolo? Viene il sospetto che non vi sia solo una cultura nuova, di cui raccogliamo da qualche tempo segnali vistosi e sibillini. Ma vi siano coincidenze. Per esempio, il rinnovo delle cariche dell'Istituto del Dramma Antico. O, ancor più, il nuovo consiglio d'amministrazione del Piccolo, tutto governativo. Si vuole forse indurre Ronconi, suo direttore artìstico, alle dimissioni?"
Franco Cordelli
«Corriere della Sera»
20 maggio 2002
Nell'emergere di un mondo che mischia la volgarità guitta a una suggestione di leggerezza, cosa significano ora, sopra a una scena tombale invasa da auto usate come case prigioniere in un ingorgo tra il risonare dei clacson dalla strada, quegli alti riquadri vuoti, destinati presto a riempirsi dell'anonimo grigiore dell'ufficialità? I quattro manifesti elettorali previsti in origine, con gli slogan dei candidati ora al governo, sottoposti a una deformazione pittorica che gli conferiva una somiglianza vaga coi modelli, simili in qualche modo a vignette ancora indenni da censura, non avevano l'aria di voler provocare quanto di immettere questo spettacolo struggente in un'aura vicina e nostra. Ma per accettare una simile libertà occorrerebbe uno spirito ignoto al proconsole che, nella sera della condanna smentita poi dal boss, denunciava le colpe dell'Istituto del Dramma Antico, in attesa, guarda caso, di un cambio di direzione: non aver mai ironizzato in passato su DAlema e sui signori del centrosinistra, e aver dato ricetto nel 1994 a un Prometeo in cui il tirannico Zeus era stato ribattezzato 'il Cavaliere'...
Franco Quadri
«La Repubblica»
21 maggio 2002
Il governo, tutto il governo, non sa neanche cosa sia la censura. Personalmente mi preoccupa anche l'autocensura a dispetto'. Con l'obiettivo di disinnescare la polemica sul 'caso Ronconi' interviene con una dichiarazione a sorpresa il presidente del consiglio. Nel momento in cui l'accusa di un pesante intervento censorio da parte di un esponente del governo era ormai sulle prime pagine dei giornali, Berlusconi ha fatto dettare alle agenzie un comunicato in cui non solo nega qualsiasi intervento o intenzione censoria sui cartelloni satirici con le caricature di se stesso, Fini e Bossi che avrebbero dovuto far parte della scenografia delle Rane di Aristofane messo in scena da Ronconi, ma chiede che si faccia satira e che il regista rimetta sul palcoscenico i faccioni che non sono piaciuti al sottosegretario Micciché e al ministro Prestigiacomo. 'Spero che Luca Ronconi - aggiunge infatti il presidente del consiglio - un artista da tutti apprezzato per il suo lavoro teatrale, rimetta subito al suo posto quel ritratto di tiranno in salsa aristofanea. Certo che non mi assomiglia, ma l'arte ha il diritto di scegliere, e di sbagliare, i suoi bersagli'. 'Una baruffa', l'ha definita il Ministro dei Beni Culturali Urbani, ma che alla vigilia delle elezioni amministrative, poteva diventare piuttosto antipatica per la maggioranza, accusata dall'Ulivo di attentato alla libertà. E così Berlusconi ha preferito prendere nettamente le distanze da Micciché e Prestigiacomo, applaudendo alla libertà assoluta di satira, piuttosto che prendersi l'accusa di censore.
Gianluca Luzi
«La Repubblica»
21 maggio 2002
L'ex ministro della Cultura francese Jack Lang ha inviato a Luca Ronconi una lettera di solidarietà dopo il tentativo di censura da parte del viceministro Micciché (Fi) a Siracusa. 'Non possoo non temere le conseguenze della deriva della destra europea in materia di libertà d'espressione. - scrive Lang - Ha fatto bene a non tacere e a modificare la messinscena provocando tanta risonanza. Mi congratulo per un gesto tanto audace... M'inchino alla sua dignità e a quella dei miei amici del Piccolo Teatro. Sappiate che l'Europa della cultura è con voi'.
In Italia è ormai proibito parlare di 'regime' (come accade soltanto durante i regimi). Ma come chiamare un paese dove una pièce teatrale ha bisogno del visto personale del premier per andare in scena? Dove i ministri, invece di pensare ai conti pubblici, fanno a gara per instaurare il Minculpop? E perché il mondo della cultura, l'opinione pubblica, il giornalismo non reagiscono, tranne qualche eccezione, con la forza con cui reagirebbe la cultura di qualsiasi altra nazione libera, governata dalla destra o dalla sinistra? Ma guardiamoci intorno. Non sarà regime ma è già una democrazia di serie B o C.
Curzio Maltese
«La Repubblica»
21 maggio 2002
Il dissenso di Silvio Berlusconi dalla censura operata da Gianfranco Micciché, responsabile di Forza Italia per la Sicilia, da Stefania Prestigiacomo (che interpreta in modo inedito il suo ruolo di ministro per le Pari Opportunità rivendicando uguale dignità di forbici per i due sessi) e da Nicola Bono, sottosegretario An ai Beni Culturali, contro Luca Ronconi, costretto a togliere di mezzo a poche ore dalla prima al Teatro Greco di Siracusa la scenografia delle sue Rane di Aristofane - rea di mostrare le facce di Berlusconi, Fini e Bossi - ispira più di una riflessione. La prima è che l'Italia è stato il primo Paese, tra quelli ad alta industrializzazione, ad avere ripristinato la censura di Stato, quella esercitata in nome della ragion di Stato, anzi, più esattamente, degli interessi di un capo di governo disinvoltamente identificato (come non accadeva dai tempi del Re Sole) con lo Stato. E perdipiù con il metodo, che non vorrei definire, lasciando questo compito all'intelligenza del lettore, dell'intimidazione, del porre qualcuno di fronte all'obbligo di una scelta spontanea contro la propria libertà e i propri interessi. Questo da ieri è un fatto, non un'opinione, perché le Rane sono andate in scena come ha voluto il terzetto Micciché-Prestigiacomo-Bono, e non come aveva pensato Luca Ronconi. Il chiamarsi fuori di Berlusconi è sicuramente tardivo (non può rimediare a quanto è avvenuto) e insufficiente (mi ricorda irresistibilmente il Sor Cipolla del "Corriere dei Piccoli", che minacciava Tamarindo: alla prima che mi fai/ti licenzio e te ne vai). Anche un po' ipocrita, come un volersi liberare dalla responsabilità, come Presidente del Consiglio, di quello che fanno i suoi ministri, e come capo di Forza Italia di quello che fanno i suoi coordinatori. Anche se Ronconi rimetterà in scena i ritratti di Berlusconi Bossi e Fini l'intimidazione e l'oltraggio all'artista sono avvenuti. L'attuazione di una parodia dello Stato etico di infausta memoria, dopo i precedenti di Genova e di Napoli, e nel clima di attacco al potere costituzionalmente indipendente della magistratura che si respira nel governo, è oggi più vicina di ieri. (...) Le istituzioni culturali di un paese come l'Italia, dalla Rai ai Teatri dell'Opera debbono essere veramente 'valori condivisi' - nel senso di esaltarne le differenze - che rappresentano il senso della possibilità essenziale per ogni progetto futuro - e non l'omologazione al potere politico. E dispiace che Luca Ronconi e Sergio Escobar abbiano sentito il dovere un po' pavido di affidare a un comunicato stampa il loro 'apprezzamento per l'intelligenza politica di Berlusconi', vale a dire per la persona che ha nominato, attraverso due delle sue molte attività, il coordinatore di Forza Italia per la Sicilia Micciché, il sottosegretario Bono, e il Ministro Stefania Prestigiacomo: vale a dire coloro che li hanno offesi e piegati alla censura. E vero: 'infelice la terra che ha bisogno di eroi', Brecht ha ancora ragione. Ma il loro gesto - non pensavo mai che avrei dovuto rimproverarlo a una persona che stimo e a un artista che amo come Luca Ronconi - non ha nulla della grandezza dell'abiura di Galileo, né - e soprattutto - all'intelligenza materiale e alla sublime ironia del 'buon soldato' Schwejk.
Renato Nicolini
«L'Unità»
21 maggio 2002
Se Prometeo ci proiettava in un ambito cosmico e Le Baccanti ci tuffavano in una città tesa al cambiamento, il terzospettacolo dell'inventiva trilogia siracusana di Luca Ronconi, ora rimodellata al Piccolo Teatro, porta Aristofane a riflettersi in una città d'oggi, nella traduzione di Raffaele Cantarella. Dall'Atene reduce da anni di guerra che troviamo squassata dalla pioggia e dal malcostume, Dioniso scende nell'Ade per recuperare almeno un poeta che ne riempia il vuoto culturale. Ma questa specie di dio in pensione, splendidamente riadattato da Massimo Popolizio alle misure di un felliniano cialtrone romanesco da suburbio, sbarca col suo camioncino nell'inferno sotterraneo di una città identica, ingolfata di macchine e di manifestazioni, pile di copertoni, uomini appesi, tra cori di rane gracidanti, guidate dalla verde pittoresca Alvia Reale, e di iniziati biancovestiti con Luciano Roman come caporione, che denuncia i governanti corrotti, mentre calano dall'alto i pannelli vuoti già destinati a ospitare manifesti con caricature più attuali. Nel ricordo della sua remota antologia aristofanesca di Utopia, il regista in felicissimo momento creativo ci propone con questo ingorgo urlante, riempito con un puzzle di materiali da Margherita Palli, un'immagine disperata e accusatoria della nostra realtà, senza tradire un testo ultrabimillenario. Ma la calcolata confusione di questo formicaio sovrappopolato è destinata a trovare un culmine nella gara finale di poesia, dove il dio decaduto compie la sua missione culturale e mette dunque a confronto su un tavolo, pesandone letteralmente le opere alla bilancia, i due autori dei due primi testi della trilogia in questione, in un magistrale momento di teatro nel teatro, sotto alle fauci spalancate di due colossali maschere della tragedia, ridotte a simboli del mercato. Ed ecco le oscurità del vecchio superbo Eschilo di Giovanni Crippa contrapporsi agli intellettualismi distruttivi del maligno Euripide di Riccardo Bini, in un esemplare numero di una comicità che fa male. Sarà il gran vecchio infine a venir ricondotto in vita, anche se la scommessa è persa in partenza: il degrado ha ormai affondato e distrutto dèi, democrazia e cultura.
Franco Quadri
«La Repubblica»
8 marzo 2004