Da quella sorta di Crepuscolo degli Dei che è il Prometeo incatenato, dove gli uomini non ci sono, ma sono destinatari di un dono, il fuoco, ossia la civilizzazione, dono non si sa quanto avvelenato, alle Baccanti, in cui si mettono in scena i pericoli dell’incontro tra l’umano e il divino e la distruttività che l’incontro col sacro può avere sugli uomini se non mediato dal rito – tra l’altro, questa è l’unica tragedia che ci è pervenuta in cui il protagonista è Dioniso – e qui il sacro, il dionisiaco appunto, ha una matrice ultima che è profondamente interna all’uomo, sino alla desacralizzazione, o degradazione comica nelle Rane di Aristofane. E infatti, un’altra lettura possibile, in una prospettiva storica, è quella di viaggio attraverso un processo di progressiva desacralizzazione del divino e del mondo. Un viaggio attraverso possibilità, rischi e splendori del concetto di sacro. Un altro legame, è che, in stile basso, pre-offenbachiano, Eschilo, Euripide e Dioniso, ci ricompaiono tutti e tre come personaggi, in un modo non più primigenio, ma tutto urbanizzato e civilizzato, un mondo ormai disincantato, nelle Rane. Aver messo insieme questi tre titoli credo possa produrre una sorta di esplosione di significati nel confronto tra i tre testi, un proliferare di senso che forse – spero – ci avvicina di più alla comprensione della stranezza e assieme familiarità che la civiltà greca presenta agli uomini del nostro tempo.