Gli insuccessi che più mi toccano sono quelli del pubblico. Un autore può sbagliare, è umano, una compagnia di attori può essere male assortita e mal diretta, succede ancora, ma quando queste condizioni non si verificano, anzi la fama dell'autore è indiscutibile e la compagnia è formata di attori eccellenti, tutti a posto nella distribuzione delle parti, ben guidati, e varano uno spettacolo di rara perfezione stilistica, allora la colpa dell'insuccesso non può essere che nel pubblico. Ma come si fa a fischiare un pubblico? Soprattutto se non si fa vedere, se diserta lo spettacolo? Scoprite questo trucco e avremo risolto la crisi del teatro, che è un aspetto della crisi della cultura.
Così, in queste settimane natalizie, piene di traffico e di panettoni, in questa bolgia del papà Natale catturato dall'industria e dal commercio, «La buona moglie» di Carlo Goldoni, messa in scena da Luca Ronconi al Valle di Roma (per la compagnia formata da Carla Gravina, Ilaria Occhini, Corrado Pani e Gianmaria Volonté), non ha avuto quel pubblico che meritava. Ci sarebbe da volerne capire i motivi, escludendo per un momento il pubblico. Forse, gli attori? Tutti hanno dato il meglio di loro stessi, in questa compagnia dei "più giovani".
Vedendo «La buona moglie», cioè le due commedie che sono state unite sotto questo titolo (l’altra commedia è «La putta onorata»), risultava evidente la prudenza goldoniana, quel non andare sempre a fondo nelle situazioni, le brusche soluzioni moralistiche di qualche scena, lo spezzettamento che ne risulta alla fine. Si resta alla fine con la certezza che Goldoni fosse attratto dal sottobosco della sua commedia, ma che gli mancasse l’animo di frequentarlo, accontentandosi di prenderne appunti.
Penso che la regia di Luca Ronconi, così misurata e severa, le straordinaria scena di Lorenzo Ghiglia, i costumi perfetti, persino le luci sempre un po’ corrusche e crepuscolari, quei canali che s’indovinano, quelle stradette e quei minuscoli salotti alla Longhi abbiano accentuato proprio queste perplessità del testo.
Chi lo capisce, il pubblico? Va a teatro per vari motivi, anche per andare a teatro. Cioè, non ne ha la passione totale e nemmeno il vizio; e, purtroppo, su un pubblico virtuoso c'è poco da contare. Andrà a teatro per cose che non ci riguardano, snobismo, curiosità, imposizioni di attualità, non certo perché il teatro è anche un fatto culturale al quale chiedere nutrimento, un fatto da controllare e da tenere in continua riparazione. Sono certo che uno spettacolo come questo messo su da Luca Ronconi e dai suoi compagni conoscerebbe un riconoscente successo dovunque l'idea del teatro è rimasta legata allo sviluppo di una civiltà letteraria. Che sia passato quasi in silenzio, in un teatro reso persino brutto e ostile dai vuoti dei palchi e della platea, non può che addolorarci.
Ennio Flaiano
«L'Europeo»
Luca Ronconi, nell’assumersi l’incarico di dirigere un così complesso Goldoni, ha dato prova di notevole coraggio. Tanto più che fondendo in un solo spettacolo le due commedie, dopo averle accorciate e accomodate, egli si è trovato in mano un testo da un lato troppo scarno di lineamenti e dall’altro troppo denso di contrasti.
Lo spettacolo di ieri sera è apparso scarsamente omogeneo, pur dovendosi riconoscere in esso una rara buona volontà e pregi, se non continui, in più punti assai generosi. Carla Gravina ha avuto modo di sfoggiare una notevole padronanza della scena e del dialetto, specialmente nel registro drammatico. Gian Maria Volonté ha ottenuto efficaci effetti comici, pur eccedendo nella caratterizzazione in chiave livida del marchese. Corrado Pani è stato un corretto Pasqualino, Edda Valente una colorita sorella Cate, Augusto Mastrantoni un patetico Pantalone. Da ricordare ancora il gassmaneggiante Gianni Musy; Ilaria Occhini nelle vesti della marchesa; lo stesso Luca Ronconi in un improbabile Arlecchino senza maschera.
Il successo della serata è stato lieto; il pubblico ha applaudito anche a scena aperta dimostrando alla compagnia simpatia e fiducia. Simpatia e fiducia cui anche noi ci associamo, perché questi giovani, qualora raggiungano un maggiore affiatamento e scelgano con molta cura il loro repertorio possano ben figurare nel quadro del teatro italiano.
Renzo Tian
«Il Messaggero»
12 dicembre 1963
Il giovane Ronconi è alla sua prima fatica di regista e vi si è impegnato a fondo, mutuando dai suoi maggiori il gusto per le costruzioni complesse, per le grandi macchine teatrali, egregiamente servito da Lorenzo Ghiglia, che ha ricostruito per lui una intera città, viaggiante su carrelli che funzionano con insolita perfezione.
Le perplessità che suscita questa messa in scena è una: se valga o no la pena di fare con le due commedie ciò che Strehler fece con la «Trilogia della villeggiatura». Se qui, in modo particolare, considerando soprattutto i pregi de «La putta onorata», convenga violare il clima e la misura goldoniana. Teatro gremito, clima di grande simpatia per questo complesso intonato ed equilibrato di giovani attori, applausi a scena aperta e moltissime chiamate.
Giorgio Prosperi
«Il Tempo»
12 dicembre 1963
«La buona moglie» e «La Putta onorata» che l’ha preceduta in una edizione ridotta hanno avuto per interpreti principali Carla Gravina, Ilaria Occhini, Corrado Pani, Gian Maria Volonté e per regista Luca Ronconi; ma del carattere e del valore di queste recite goldoniane non potremmo dare altro che un giudizio approssimativo, basato su elementi del tutto insufficienti, perché le necessità del giornale al quale le recensioni teatrali debbono essere consegnate prima del tocco dopo la mezzanotte, ci hanno costretto a lasciare lo spettacolo appena finita la sua prima parte, costituita da «La putta onorata», che è stata molta applaudita. Consapevoli delle condizioni di fretta in cui si trovano in Italia i critici dei giornali del mattino (in tutti i paesi dell’estero le recensioni vengono pubblicate ad almeno ventiquattro ore di distanza dallo spettacolo) le compagnie primarie che negli ultimi mesi hanno recitato nei teatri romani hanno permesso ai critici di esercitare la loro funzione con la necessaria ponderatezza. Invece la Compagnia Gravina–Occhini–Pani–Volonté ha creduto di rispondere negativamente alla nostra richiesta di poter assistere all’ultima prova, qualunque fosse la sua maturazione. Non è dunque colpa nostra se, sia pure con dispiacere, rimettiamo il giudizio sullo spettacolo a coloro che interverranno alle sue repliche.
Arnaldo Frateili
«Il Paese»
12 dicembre 1963
Chi oggi vedendo questa «Buona moglie», non avverte dietro l'apparenza di una gerarchia sociale di pura etichetta, il fatto essenziale: che la gente nuova di Goldoni era ormai padrona del campo?
Goldoni pesca nella sua memoria personale rusteghi e nobili andati a male che ritroviamo nella descrizione del Marchese di Ripaverde della «Buona moglie» che Gian Maria Volontè ha magnificamente intuito e quasi sofferto.
Con questo spettacolo ha esordito la compagnia di giovani che ha in ditta, oltre a Volontè, l'attore regista Luca Ronconi, Carla Gravina (un'appassionata, energica Bettina), Ilaria Occhini (una marchesa divertente e non meno slombata del marito), Corrado Pani (un trepido Pasqualino, vero "ingenuo" della commedia). L'esordio ci è parso positivo e una riuscita innegabile è proprio quell'aria di dramma sentimentale, di bozzetto dialettale ottocentesco, che parrebbe una stonatura in uno spettacolo goldoniano, ma che effettivamente esiste in questa storia ricalcata sulle trame e canovacci romanzeschi, intrighi, contrattempi, malintesi che erano ancora nell'aria e di cui Goldoni non si era ancora liberato. Eppure, riproposti dal Ronconi con gusto e coscienza di quel vecchio fondo romanzesco e sentimentale, i vecchi arnesi melodrammatici hanno per noi un curioso fascino, accresciuto certamente dal trovarsi in un contesto simile.
Sandro De Feo
«L'Espresso»