Altri, invece, sono i motivi dell’insuccesso dell’«Uccellino azzurro» di Maeterlinck. Dopo la conclusione, che è eufemistico definire sgradevole, del Laboratorio di Prato, l’Ater mi fa la richiesta di realizzare uno spettacolo. Accetto a due condizioni: poterci andare con gran parte degli attori del Laboratorio e mettere in scena uno spettacolo per ragazzi, ma del tutto contrario al modo con cui, allora, si pensava al teatro per ragazzi. Senza bamboleggiamenti, dunque, senza infantilismi: un esercizio propedeutico, ma proponendo, al contrario, qualcosa che potesse essere pauroso, a livello di esperienza, perché sono convinto che ai ragazzini bisogna fare passare dei guai, invece di facilitargli la vita a tutti i costi. Lungo la strada la commissione si è modificata: doveva essere qualcosa che andasse bene per i ragazzi, ma anche per gli abbonati adulti, per i locali ma anche per la tournée. Il bersaglio si faceva dunque sempre più vago; in più il testo era quello che era: suggestivo ma molto fiacco.
All’origine della scelta dell’Uccellino azzurro c’era anche il fastidio che sentivo per le tante scemenze e per i tanti luoghi comuni della politica culturale di quegli anni. Si era alla fine degli anni Settanta ed era evidente la vera e propria slavina che era seguita alle grandi baggianate dette sulla voglia di cambiare tutto, di oltranzismo a tutti i costi. La scelta di questo spettacolo per ragazzini in chiave negativa e la scelta di questo testo per certi versi fastidiosamente passatista nascevano da lì. E probabilmente la non riuscita dello spettacolo trovava la sua origine in un momento di stizza, di fastidio e anche di disprezzo, forse, verso il movimentismo giovanile di quegli anni (non certamente verso i lavoratori), più che da un momento di reale interesse verso qualcosa. Eppure è indubbio che quel perentorio – e per allora sconcertante – ritorno alle mura domestiche di cui si parla nel testo anticipava tematicamente le cose che in altri modi sarebbero successe qualche anno dopo: fregarsene delle esperienze per rinchiudersi nel privato, non abbandonare per nessun motivo il rifugio della propria comoda casetta.
«Luca Ronconi. Prove di autobiografia»
a cura di Giovanni Agosti (Feltrinelli, 2019), pp. 261-262