Uno spettacolo che non è mai stato fatto come l’avevo pensato: una grande pedana che oscillava in bilico sull’acqua, sulla quale stavano i personaggi, e zattere con i posti per il pubblico, che avessero quindi la possibilità di muoversi. Ancora una volta la rappresentazione era pensata come una mappa, che conteneva in sé il principio di movimento: dalla veglia al sonno e al sogno. Ma c’era anche il movimento delle scenografie di Arnaldo Pomodoro – un artista e non uno scenografo puro – in un teatro delle meraviglie, ricco di sorprese, quasi che la macchina scenica si identificasse con la storia e i destini dei personaggi. Avevo anche pensato a un’edizione al chiuso, che si ponesse come l’approfondimento introspettivo di quella féerie lacustre, che poteva ricordare l’Orlando. Ma le cose non andarono per il verso giusto, a cominciare dalla defezione dell’attrice protagonista alla quale avevo pensato, Mariangela Melato, e si complicarono per l’intervento della commissione di vigilanza, alla vigilia della prima, che vanificò la mia collaborazione con il Comune di Zurigo, primo esempio delle mie difficoltà a rapportarmi a una realtà data, quando i termini non sono chiari. Succederà così anni dopo anche con il Laboratorio di Prato.
«Luca Ronconi. Prove di autobiografia»
a cura di Giovanni Agosti (Feltrinelli, 2019), pp. 283-285