La dissoluzione del personaggio, messa in atto nelle «Baccanti», era rintracciabile anche nel «Calderón», dove era la passione retorica dell’autore a porsi in primo piano in questo pamphlet contro il ’68 e la contestazione borghese. Questo si rispecchiava non solo nella recitazione degli attori, ma anche nella struttura dello spazio scenico, che consisteva nella distruzione della separazione tra palcoscenico e platea di un teatro ottocentesco come il Metastasio, trasformato in una pedana lignea, sulla quale grandi figure geometriche imponevano agli interpreti di seguire un tracciato di gesti, di azioni, che rispecchiasse in qualche modo le sequenze della riflessione dell’autore. Perché se di solito un autore si manifesta in un testo attraverso i personaggi, nel «Calderón» era Pasolini stesso a parlare per bocca loro. Anche gli attori perciò subivano una trasformazione che li rendeva portavoce del pensiero dell’autore, delle sue argomentazioni, con una recitazione atonale, scandita ritmicamente, nella quale si frammentava l’unità psicofisica dell’interpretazione in una serie di movimenti, l’uno staccato dall’altro, e distribuiti nell’ambiente, a cui li legava una geometria rigorosa.
«Luca Ronconi. Prove di autobiografia»
a cura di Giovanni Agosti (Feltrinelli, 2019), p. 167