Atti di guerra: una trilogia

Autore:   Edward Bond
Traduzione:   Maggie Rose, Salvatore Cabras

Scene:   Tiziano Santi
Costumi:   Silvia Aymonino
Luci:   Guido Levi
Suono:   Hubert Westkemper
Training e movimento:   Maria Consagra

Atto I: rosso nero e ignorante

Personaggi - Interpreti:
Madre - Melania Giglio
Ragazzo - Lorenzo Iacona
Ragazza - Paola D'Arienzo
Insegnante - Nanni Tormen
Donna - Laura Narni
Moglie - Franca Penone
Donna 2 - Raffaella Boscolo
Intermediario - Massimo Popolizio
Doppio del mostro - Nanni Tormen

Atto II: popolo delle scatolette

Personaggi - Interpreti:
Primo uomo - Massimo Popolizio
Secondo uomo - Elia Schilton
Terzo uomo - Lorenzo Iacona
Prima donna - Pia Lanciotti
Seconda donna - Debora Zuin
Quarta donna - Raffaella Boscolo

Atto III: Grande pace

Personaggi - Interpreti:
Pemberton - Francesco Rossini
Soldato I - Lino Guanciale
Soldato II - Alfonso Veneroso
Soldato III - Francesco Vitale
Soldato IV - Umberto Petranca
Figlio - Alessandro Loi
Capitano - Giorgio Ginex
Signora Simmons - Laura Nardi
Donna I - Pia Lanciotti
Figlia - Diana Hoebel
Uomo Maturo - Giovanni Battaglia
Uomo Giovane - Lino Guanciale
Caporale - Marco Toloni

Produzione:   Teatro Stabile di Torino



Prima rappresentazione
Teatro Astra, Torino
3 febbraio 2006

* Dopo la prima rappresentazione, una grave indisposizione del protagonista Massimo Popolizio ha reso impossibile l'andata in scena dello spettacolo nelle altre date previste.

Foto / Bozzetti / Video

Le parole di Luca Ronconi


La genesi di questi testi è avvenuta a Palermo, durante un laboratorio di improvvisazioni, il cui spunto era la storia di un episodio di violenza avvenuto in un campo di concentramento nazista. È la storia di un ufficiale nazista che ogni sera fa uccidere un prigioniero, scelto a caso. Poi scopre che tra i reclusi vi sono due fratelli e ordina all'uno di uccidere l'altro... Questo è il nucleo di tutta l'opera: dovendo commettere un'azione atroce, per ordine e conto di un rappresentante del potere, cosa sacrifichi? Qualcosa che ami oppure qualcosa che ti è estraneo? Questo è il dilemma etico che permea di sé tutta la trilogia... Al centro della terza commedia, Grande pace, sta l'aspetto 'umano' di questa storia: la follia della protagonista, il suo tentativo di tornare alla ragione, la ricerca dei motivi per cui è accaduta un'azione orribile... Per questo è possibile paragonare Atti di guerra alla tragedia greca: l'interrogazione sulle ragioni della colpa e sui limiti della colpa è un tema tragico. La scrittura di Bond, fortunatamente, non ha nessun tipo di ampollosità o di solennità, ma è al contrario ridotta a limiti estremamente umani. E questo è, a mio parere, uno dei suoi pregi maggiori.
Andrea Porcheddu (dal programma di sala)

Rassegna Stampa

dal Patalogo 29 (Ubulibri, Milano, 2006) 

per gentile concessione dell'Associazione Ubu per Franco Quadri


Più che al poetico e allo spettacolare, Bond paga un altissimo prezzo al didascalico e al concettoso. Pone dilemmi come il suo maestro Brecht, ma non ci propone soluzioni, non si appella ai sentimenti, non si fa trascinare dalla passione. E Ronconi si trova nella condizione di far fiorire rose dalla Waste land'. Ci riesce con una tecnica consumatissima, trasforma il lungo teorema etico di Bond in una geometria millimetrica, gioca sull'ambiguità ma con realismo, a volte riflette un personaggio in un altro personaggio fino a cancellare le differenze, utilizza perfino il rap col quale il giovane soldato spiega i motivi del suo arruolamento.
Osvaldo Guerrieri
«La Stampa»
5 febbraio 2006

Ronconi, mirando a una fedeltà assoluta, ha voluto far interpretare da un unico attore cinque parti, seguendo tutto l'andamento della vicenda: ci voleva un attore grandissimo e il regista l'ha trovato in Massimo Popolizio, che vediamo dapprima nella parte del Mostro, così chiamato per la cicatrice di una pallottola che l'ha ferito al capo, seguire le diverse fasi di una stressante vita familiare, poi passare al ruolo del figlio che lo uccide per ordine militare, e realizzare un autentico miracolo interpretativo in una scena in cui anche il padre (passato a un altro interprete), come prima la madre, parla con la sua voce registrata in un febbricitante dialogo del personaggio con se stesso. Il viaggio in tre atti affronta poi più decisamente il discorso sulla sopravvivenza nella parte centrale in cui Popolizio figura come Primo Uomo, uno dei pochi vivi funestati dalle epidemie che li rendono ostili ai loro simili. E infine sarà l'interprete della Donna alla quale il figlio uccide la bambina e che si nutrirà di questo dolore, impazzita ma non troppo, allevando una nuova bimba fatta di stracci, incontrandosi con dei soldati che credono di essere morti, ma anche con qualcuno che parla di un mondo in ricostruzione. Nello spazio nudo di un ex cinema con poche panche, su un pavimento di bianche macchie a rilievo come lo sfondo, torreggia l'immagine di una umanità viva aldilà di tutto, grazie a una regia di altissimo livello malgrado qualche rallentamento, la faticosa divisione in tre parti e una traduzione discutibile.
Franco Quadri
«La Repubblica»
9 febbraio 2006