Così Tosca eroina bigotta accende l’eros di Scarpia
I bozzetti di Margherita Palli sono di per sé un ‘opera d’arte splendidamente realizzata: un caos di false prospettive di monumenti barocchi, sghembe, anamorfiche. Si gode nel vedere ricordato il grande Fabrizio Clerici. L’effetto è grandioso, sebbene incongruo nel caso dello studio di Scarpia […]. Sulla funzionalità drammatica dell’ambientazione si giurerebbe meno per i primi due atti, si giura volentieri per il Castel sant’Angelo da incubo […].
Il punto è che la funzionalità drammatica è compito di regista. In questo caso […] si limita a imitare sciattamente le convenzioni obbligatorir in luoghi come l’Arena di Verona […]. Il segno personale […] è da lui fornito con l’originalissima idea di spostare la vicenda all’epoca umbertina […].
Paolo Isotta
«Corriere della Sera»
6 luglio 1997
La nuova «Tosca» piena di intrighi
E non un nobile, non un borghese in quel Te Deum propiziatorio […] ma mendicanti cenciosi, deformi scrofolosi (e comunque scarsissima affluenza di pubblico tra tanto clero).
Ronconi non ama i papalini e non ama Scarpia, lo mostra anzi nei suoi aspetti più tetri, […] la fucilazione di Cavaradossi si svolge sbrigativamente, come cosa clandestina […]. Splendida recitazione […].
Michelangelo Zurletti
«La Repubblica»
6 luglio 1997
«Tosca» ironica distratta e poco erotica
[…] tre quadri impressionanti, bizzarramente illusionistici, molto centrati sulla modernità dell’opera. […] Come l’attimo di un terremoto, fissato in fotografia. L’effetto è deliziosamente ironico ma anche criticamente significativo perché rende visibili le spezzature […], il frammentismo di una partitura moderna […].
La recitazione imposta da Ronconi è sobria e realistica; il regista non lavora troppo sugli attori, ma lascia spazio alla loro iniziativa personale.
Paolo Gallarati
«La Stampa»
6 luglio 1997
Pubblico diviso in due per la «Tosca» scaligera
[…] l’aspetto determinante era la concezione delle scene, che contribuiva in modo decisivo a conciliare una chiave di lettura originale con il rispetto dell’ambientazione voluta dall’autore. Ronconi […] evita ogni banale naturalismo […] la recitazione resta tradizionale, anche perché non c’è stato probabilmente il tempo necessario per un lavoro approfondito sui cantanti.
Paolo Petazzi
«L'Unità»
6 luglio 1997
Opera, pubblico “traditore”?
Dello spettacolo rigoroso del team Ronconi-Palli-Marzot colpisce la raffaellesca compressione dello spazio, che obbliga a micromovimenti, a luci esattissime, esemplate su tutto meravigliosamente nella processione per il «Te Deum» che sembra un calco dalle «Stanze» della Sistina.
Carla Moreni
«Avvenire»
6 luglio 1997
«Tosca», non lucevan le stelle
Prima della fucilazione, un prete cerca di portare i conforti religiosi a Cavaradossi, ma uno sbirro lo trattiene: veniva da pensare al frate interpretato da Alberto Sordi nel film Nell’anno del Signore.
Alfredo Gasponi
«Il Messaggero»
6 luglio 1997
«Tosca»: in volo sul mondo che fugge
Da un punto di vista visivo l’armonia della scena è bellissima; dal punto di vista del significato drammatico, è inquietante.
Per una cosa di questo genere è chiaro che il regista non può essere che Luca Ronconi. Il quale ha disciplinato bene anche la recitazione dei cantanti, facendoli sentire volutamente a disagio in quel mondo che fugge e che rimane in qualche modo ingiustamente ancora una volta in piedi. E nel II atto quando Scarpia […] è nel suo palazzo, tra avanzi di elementi ecclesiastici, o quando il pittore viene fucilato […], ancora con qualche elemento di chiesa […], il discorso si manifesta con una grandissima coerenza.
Lorenzo Arruga
«QN»
6 luglio 1997
L’inconsueta «Tosca» di Ronconi
[…] uno spettacolo non perfettamente riuscito, ma ricco di stimoli, poiché offriva […] una lettura inconsueta e plausibile […], portando in primo piano l’ambientazione romana e lo sfondo storico del 1800; operazione che trova piena legittimità nella stessa musica di Puccini, dove lo sforzo di ambientazione è nettissimo. […] La Roma bigotta e papalina, cinica e lussuriosa rimane in scena dal principio alla fine […].
Non per questo manca il gioco scenico, che è improntato a un realismo solo apparentemente contraddittorio e in realtà misuratissimo.
Arrigo Quattrocchi
«Il Manifesto»
23 luglio 1997