Sigfrido

Musica:   Richard Wagner

Personaggi - Interpreti:
Siegfred - Jean Cox
Il Viandante - Peter Wimberger
Alberich - Klaus Kirchner
Fafner - Bengt Rundgren
Brunnhilde - Dunja Vejzovic
Voce dell'uccello della foresta - Dorothea Wirtz

Maestro direttore e concertatore:   Zubin Metha

Scene e costumi:   Pierluigi Pizzi


Allestimento:   Maggio Musicale Fiorentino


Prima rappresentazione
Teatro Comunale, Firenze
25 gennaio 1981

Foto / Bozzetti / Video


Rassegna Stampa

“C’era una volta la Tetralogia di Wagner secondo Luca Ronconi e Pier Luigi Pizzi: 1974, alla Scala, Valchiria, 1975, Sigfrido. Sfida alla tradizione, ardimentosa, irrisolta, geniale. Le immagini della civiltà in cui Wagner operò, la potente Germania fine secolo, con la nascita dell’industria, con le lusinghe del capitale, sovrapposta senza eluderle alle immagini e alla fede nel mito universale, radicate nella storia; e il libero percorso dei pensieri, della cultura, delle impressioni a spiegare, a coinvolgere. (...) Adesso i due stanno liquidando la Tetralogia a Firenze, un pugno d’anni dopo, e hanno tutto razionalizzato. I loro cammini, intensi e validissimi, sono su strade fra di loro diverse. Creato nel memorabile Oro del Reno un mondo ad anello, svolgono il compito, nelle sfere restanti, con pulizia. Elegantissime le immagini di Pizzi, grigie, ardite negli spazi, intelligenti; accorta e raffinata, con tratti d’alto ingegno, l’azione registica”.
Lorenzo Arruga
«Il Giorno»
28 gennaio 1981
“Il Siegfried presenta per la sua stessa struttura testuale un accento diverso rispetto alle due creature precedenti. Intanto, è dominato dalla figura del protagonista, dal puro eroe Sigfrido, con una scoperta volontà che nemmeno Walküre conosce. Davanti a questa figura finiscono per avere un risalto diverso le contrapposizioni tra Alberich, Wotan e Mime. La vicenda è invece tutta tesa, attraverso un sapiente dosaggio di colori e di ambienti, al fatale momento d’amore del terzo atto, nel quale Siegfried risveglia Brunilde, la valchiria addormentata. All’interno della stessa partitura wagneriana dunque, la vicenda si rifrange creando un’atmosfera nuova, più omogenea e luminosa”.
Antonella Ivancich
«Avvenire»
27 gennaio 1981
“Si diceva in teatro che Ronconi qui abbia messo, opportunamente, un po’ d’acqua nel vino troppo forte delle sue precedenti regie wagneriane. Certamente non ha cercato stravaganze né ripieghi. Sa benissimo che l’argomento del Sigfrido è sostanzialmente il contatto panico con la natura e non è sfuggito all’impegno. Per il second’atto Pizzi gli ha fornito una foresta rigida, un po’ stecchita, più di montagna che di collina, ma fitta, obliqua su due forti pendenze contrapposte che obbligano giustamente i tre attori (Sigfrido, Mime e Alberico) a vere e proprie acrobazie. Dietro al verde intrico degli alberi spiovono sullo sfondo ripidi lastroni di rocce embricate, che al momento buono si spalancano, con efficace colpo di scena, sulla caverna del drago mostruoso, viscido, molliccio come una gigantesca aragosta, che agita cinque o sei teste umane, come un disgustoso carro di carnevale”.
Massimo Mila
«La Stampa»
27 gennaio 1981
“L’intervento di Ronconi e Pizzi è apparso più centrato rispetto all’ultima prova di Valchiria. Soprattutto l’atto secondo è risultato ricco di spunti interessanti, anche se permane immutata la consueta caratteristica ronconiana di sorvolare sui punti semplicemente narrativi della vicenda a tutto vantaggio dei suoi risvolti più cerebrali, oltre che storici e sociali. Di interesse, in tal senso, era anche l’ultimo atto, nel quale motivi ormai acquisiti nello stile di regista e scenografo, quali gli specchi bruniti e le grandi statue equestri, si univano con i caratteri più classici di un certo genere di regia ‘wagneriana’, con le scale sopraelevate dinanzi a una grande visione azzurra immateriale”.
Antonella Ivancich
«Avvenire»
cit.
“Ci pare che la scelta registica di non sposare in modo assoluto alcuna teoria ma, di tutte consapevole, cercare di rilevare la ‘tendenza all’unitarietà’ – tendenza ‘al limite’, ché mai si realizza – che pervade la Tetralogia sia quanto meno stimolante. (...) Pier Luigi Pizzi ha messo a punto scenari mobili di grande agilità, esteticamente assai raffinati, in cui il dato veristico, ora evidente (la folta foresta e l’antro di Fafner), ora suggerito da architetture che evolvono da una dimensione orizzontale a una verticale, si trasforma in un’alternanza costante tra reale e irreale. E la regia (...) è riuscita, pur eludendo il pericolo di una pesante staticità in scena, a lasciare amplissimo spazio a quella che nel Siegfried è l’evoluzione drammatica, tutta imperniata sull’evoluzione del fatto musicale-compositivo”.
Maria Torrigiani
«Il Tirreno»
27 gennaio 1981
“In un’intervista pubblicata nel programma di sala Ronconi non fa mistero dell’insufficienza drammatica che si riscontra nella seconda giornata dell’Anello. ‘Una commedia di parole’, di ‘eterni racconti’ e ‘piena di spiegazioni’. Ha perfettamente ragione: sono le spiegazioni con cui Wagner tenta di venire incontro allo spettatore che per caso capiti a vedere soltanto una delle tre giornate, e deve pur sapere qualcosa di quanto è avvenuto nelle precedenti. Una tecnica simile a quella dei cinematografari perché il pubblico, in qualunque momento entri in sala, possa presto orientarsi nello spettacolo. Conoscendolo, il regista s’è difeso molto bene da questo difetto, facendo recitare, recitare, recitare”.
Massimo Mila
«La Stampa»
cit.