Come le 5 giornate
Con tutta la sua acutissima capacità di scovare affinità celate e percorsi inediti ha centrato la sua regia Luca Ronconi, in accordo perfetto con le scena bellissime disegnate per questo spettacolo da Pier Luigi Pizzi. La dote ronconiana di avvolgere lo spettatore in una spirale immaginativa ancorata sempre alla musica viene fuori con un segno visivo affascinante ed egli prende qui l'occasione di calarsi nella stagione romantica per narrare una grande vicenda figurativa ricchissima di stimoli. L'idea centrale dell'allestimento, con quello scheletro sottile di storia che è nell'opera ed è la conversione di Nabucco, è quella di immaginare e di far vivere sulla scena un pubblico 1840, i nobili e i borghesi lombardi, che si contrappone dapprima a quello della vicenda storica che vede giudei ed assiri in lotta. Ma queste due situazioni lentamente si mescolano e si fondano attraverso un processo drammatico con sentimenti proposti dalla musica, fino alla fine, quando Nabucco diviene un personaggio risorgimentale e Abigaille una schiava che diventa regina e che ritorna alla condizione umile di contadina della pianura Padana. Tutta la dimensione archeologica e storica dell'opera viene rivista invece attraverso dei quadri storici che riprendono la tematica della grande pittura ottocentesca di Hayez, di Delacroix, di Ingres, ma trascritta in chiave verdiana con quel tanto di impaccio nella fattura che si addice ad un'opera romantico-popolare. Così Jehova è pensato come un Mosè con le tavole e diventa quindi il sentimento dell'idea nazionale, Belo è una sorta di dio primitivo inventato che sembra uscito da una gipsoteca canovina ed al suo posto alla fine compare il tricolore. In effetti Ronconi punta sul Nabucco lo sguardo del pubblico attuale attraverso la lente del pubblico del 1842 e quindi tutti personaggi figurativi avvengono sempre all'interno dell'ideologia liberal-risorgimentale.
Duilio Courir
«Corriere della Sera»
7 maggio 1977
Il Nabucco, aspettando il Quarantotto
Luca Ronconi non ha esitato ad inscenare l'opera in un teatro affollato da borghesi ottocenteschi che solidarizzano con gli ebrei oppressi, tendono loro la mano, li incitano alla riscossa. L'opera ha una doppia articolazione scenica, ottocentesca nel contorno a 360 gradi, storica al centro. E la scenografia di Pizzi risolve funzionalmente la complicata struttura. Gli unici elementi mobili sono grandissimi quadri che salgono e scendono con valori didascalicamente allusivi. Le due zone non sono però impermeabili, e quando Nabucco, re dei Babilonesi passerà dalla parte degli ebrei non farà altro che strapparsi l'abito assiro e apparire nelle vesti di un ufficiale piemontese. Ma a quel punto il palcoscenico è già pieno di soldati e ufficiali da Piccolo mondo antico. [...] Le memorie che devono accendere nuovi ardori di rinascita hanno finalità non solo territoriali ma politiche. Cala allora un quadro in cui i contadini in un campo di grano, falci al vento contemplano il nuovo sole che sorge. Da questo momento nella platea ottocentesca ad assistere alla vicenda degli ebrei non ci saranno più i borghesi ma i contadini. Su questa immagine il ravvedimento degli assiri e la loro accetazione della nuova verità. […] Il pubblico borghese che va e viene dalla platea ubbidisce non solo a necessità contingenti di rafforzare, con rapidi cambiamenti d'abito, i cori all'interno a all'esterno del teatro centrale, ma ricorda proprio il comportamento del pubblico ottocentesco, la sua fame di arie e cabalette e il disinteresse per altre cose. Difatti i cantanti al momento delle arie, vengono spinti da marchingegni verso il pubblico ottocentesco, che li accoglie e commenta le loro parole cordialmente se non sono personaggi risorgentalmente amici, ostentatamente li esecra se sono nemici. Successo grandissimo.
Michelangelo Zurletti
«La Repubblica»
7 maggio 1977
Nabucco
L'operazione di Ronconi era ardita, fors'anche provocatoria, ma perfettamente lecita, sul piano critico: e la paritura verdiana […] ne ha tratto innegabilmente vantaggio, illuminandosi di riverbero grandiosamente allusivo, di una luce abbacinante, di una monumentalità eloquente. Pizzi infatti, sullo sfondo di un teatro non-finito, di un biancore un po' gelido, ha calato enormi quadri che amplificavano la situazione agitata sul proscenio: ora il tempio di Gerusalemme, ora due ritratti di Abigaille che si scopre figlia di schiavi e, nel momento di più alta poesia […] mentre il coro intonava il “Va pensiero” un dipinto vagamente alla Millet con mietitori, presenti anche in scena.
Cesare Orselli
«Sipario»
an. XXXII, giugno-luglio 1977, n. 373-374