Muti conquista la vetta
Ebbene, si direbbe che stavolta, stufo di se stesso, egli abbia voluto evitare d’esser Ronconi, condannato cioè a «falsare» i melodrammi che gli vengono affidati. Dei suoi simbolismi […] ne son rimasti solo due, risibili: quella mela che sull’inizio Edwige sbuccia […], e quel far cantare Gessler sempre dall’alto d’un trespolo, giacché egli sovrasta gli oppressi trucemente. Per il resto Ronconi s’è fatto da parte; ma […] ha concesso tutto all’iper-realismo fotografico delle diapositive e dei filmati […]: […] la schizofrenia fra parte musicale e parte visibile dello spettacolo s’è accentuata irreparabilmente […]. Ci sembrava d’essere […] in un tetro Ufficio del Turismo Svizzero, commercialmente super attrezzato per catturare i visitatori.
Teodoro Celli
«Il Messaggero »
9 dicembre 1988
Muti ripensa il «Tell»
[…] tutto sommato, le scene non erano fastidiose, e la regìa si è quasi sempre mostrata funzionale e discreta.
Francesco Maria Colombo
«Avvenire»
9 dicembre 1988
Storia a sé
Uno spettacolo detestabile, sbagliato, irritante: quel poco di cinema mi è parso noioso ma tutto sommato inoffensivo rispetto a tutto il resto in scena.
Fedele d’Amico
«Musica viva»
aprile 1989
A Rarity, Is the Talk of the Towns
Sul piano drammatico, l’esecuzione era scadente […] in pratica non c’è stata regìa; l’allestimento di Luca Ronconi era tedioso e arido, pensato per vellicare l’intelletto (molto lievemente), ma non per far capire il lavoro di Rossini. Gran parte dell’opera si svolgeva sugli scanni di una severa aula giudiziaria, con gli svizzeri che indossavano le vesti proletarie più grezze possibili del tempo di Rossini.
Will Crutchfield (tr. it. Jacopo Pellegrini)
«The New York Times»
9 dicembre 1988
Povero Rossini, sepolto dalle cartoline
Be’, nonostante la mia dichiarata avversione per l’ecologia […], per gli ambientalisti, […] io sono un adoratore della natura […]. Così, devo confessare che quegli ingrandimenti delle cartoline a colori […] a me (mi) piacciono […]. Ma devo pure riconoscere che c’è una specie di iato incolmabile tra le due realtà, quella artistica dell’opera e quella naturale delle scene. […] la recitazione […] praticamente abolita, con quella rassegnata indolenza che talvolta Ronconi manifesta nei riguardi dei cantanti.
Massimo Mila
«La Stampa»
9 dicembre 1988