Io credo che il pubblico si chieda com’è il nuovo palcoscenico della Scala. È esattamente la stessa domanda che ci eravamo posti noi. Quindi, lo faremo vedere tutto. Fin dall’inizio, dalla tempesta con la quale comincia l’opera. […] Questa immensità giova agli spostamenti delle scene di Pier Luigi [Pizzi], che scorrono completamente, da una parte all’altra del palcoscenico, mentre ne sale un’altra dal basso, permettendo una scomposizione e ricomposizione continua di spazi, in un’opera che è piena di cambi di scena che ho rispettato. […] Il palcoscenico non è ancora abbastanza rodato […]. Dallo spettacolo si capirà che abbiamo lavorato in un cantiere […] il protagonista vero della serata sarà il teatro stesso […] in alcune scene ci sono degli specchi che mostrano il retro del palcoscenico. È una scelta voluta: far vedere al pubblico quel che di regola il pubblico non vede, celebrare questo nuovo spazio mostrandolo. […] Non abbiamo rinunciato a nulla. Abbiamo magari adattato qualcosa. Snaturato, niente.
[…] è una drammaturgia barocca?
Direi di no. Non lo è nella musica, perché di grandi arie […] ce ne sono solo quattro e tutto il resto è recitativo e coro. E non lo è nel libretto, che richiama uno spirito già illuminista, con la sua celebrazione dell’amor coniugale. Il neoclassico è dietro l’angolo […] il libretto, con le sue due coppie di innamorati da ricomporre, è deboluccio, di taglio metastasi ano ma senza i versi di Metastasio. […] Anche per questo si è scelto di mettere in scena la circostanza più che l’opera. L’accento non è sull’Europa riconosciuta, ma sull’apertura della Scala. Come, in fin dei conti, avvenne nel 1778. Certo, sono passati due secoli e più, quindi l’approccio sarà leggero, lieve, perfino ironico. […] Intanto, ci sono arie di un tale spericolato virtuosismo che i cantanti hanno già il loro bel daffare. Ma poi io non sono di quei registi che pensano che il grande cantante debba essere anche un grande attore. Tanto più che l’opera non è la prosa, e anche la gestualità, i movimenti, sono completamente diversi. Una certa staticità è normale. Anche se lo spettacolo non è statico: è anzi assai movimentato, ma non è un movimento descrittivo. […] Durante il balletto, torna il barocco, torna il Settecento, torna la convenzione teatrale.