Così fan tutte


Personaggi - Interpreti:
Fiordiligi - Lella Cuberli
Dorabella - Anne Howells
Guglielmo - Alan Watt
Ferrando (I cast) - Robert Gambill
Ferrando (II cast) - Max René Cosotti
Don Alfonso - Alberto Rinaldi

Maestro direttore e concertatore:   Peter Maag
Maestro del coro:   Aldo Danieli

Costumi:   Carlo Diappi


Allestimento:   Teatro La Fenice di Venezia


Prima rappresentazione
Teatro La Fenice, Venezia
11 agosto 1983

Foto / Bozzetti / Video

Le parole di Luca Ronconi


Così fan tutte mi è sempre parsa l’opera più vicina al Mozart che ascoltavo da giovane, quello cameristico e sinfonico. Un autore che sfugge naturalmente alle etichette, che aggira le classificazioni perché la musica che scrive non ne ha bisogno. Ecco, nel teatro, questa miracolosa libertà è rappresentata da Così fan tutte, un’opera che non ha senso inserire in una progressione storica rilevando le parentele con lo stile napoletano o invocando certe contemporanee tendenze di pensiero poggiate sulla lucidità delle costruzioni e via dicendo: esiste tutta una dimensione più imprendibile, o meglio tali caratteristiche non sono che la superficie, interessano meno. [...]
Niente macchiette o gesti meccanicamente ripetuti: dev’essere chiara la narrazione attraverso la distinzione tra i vari personaggi. Nell’opera le reazioni sono ben individuali, perché ridurre il tutto a un gioco di corrispondenze, noioso in quanto prevedibile e sostanzialmente traditore della sostanza? Certo i travestimenti e gli scoprimenti sentimentali incrociati esistono, e ce ne sono altri sotterranei, non meno importanti: quelli tra Alfonso e Despina, quello tra i due maschi. Ma credo a un’impostazione di fondo che induca la riflessione in altra direzione. Basta guardare ai fatti: nella presentazione dei personaggi si capisce subito che l’innamoramento tra le due coppie è basato su elementi superficiali (pensiamo alle ragioni addotte per giustificare l’obbligo alla fedeltà delle proprie fanciulle o al fatto che dette fanciulle si riguardano l’effigie degli amanti nel medaglione: semplicemente non si conoscono); nel corso dell’opera avviene una sorta di iniziazione e ognuno scopre, naturalmente, l’affinità che gli compete. La sfida è soprattutto contro se stessi e l’abitudinarietà di un rapporto accettato ma non coscientemente vissuto.
Intervista di Angelo Foletto
«La Repubblica»
30 ottobre 1983

Rassegna Stampa


La prima, lieta sorpresa di questa edizione di Così fan tutte (…) è venuta dal fatto che la protagonista non era la regia, bensì la musica. Questo è accaduto, credo, per una scelta meditata di Luca Ronconi che, rinunciando alle componenti più sensazionali della sua corrosiva poetica registica, ci ha offerto una delle sue prove più spontanee, sottili, nella quale ha trasferito, con affascinanti risultati, la sua esperienza di grande regista di prosa ai movimenti, i più stilizzati, alla mimica, la più analitica, della compagnia di canto.
Giuseppe Pugliese
«Classica»
gennaio 1984
Così fan tutte come essenza del teatro, come consapevolezza e compiacimento del proprio saper fare teatro. Proprio di Mozart, di Da Ponte e naturalmente anche di Ronconi. Nel progettare il suo primo contatto con Mozart, Ronconi ha evidenziato nel dettaglio gli ingranaggi della perfetta macchina teatrale che costituisce l’ossatura di Così fan tutte. E poiché tali ingranaggi appartengono tanto al testo che alla musica, nessuna prevaricazione si è realizzata ai danni della partitura. Nessuna ronconata apprezzabile, insomma. Ronconi non ha aggredito l’opera dall’esterno, come di solito fa, inseguendone l’uno o l’altro aspetto (…) ma l’ha presa in blocco, rappresentandola sotto l’aspetto che più gli piace, ossia del gusto e dell’alto artigianato della rappresentazione.
Michelangelo Zurletti
«La Repubblica»
10 novembre 1983
Il regista romano, sempre più avaro nella prosa (…), ha sempre amato compiere ‘operazioni’ sul melodramma, così che si può parlare di una chiave Ronconi per quanto ricca e differenziata, nell’opera lirica. Reduce dal trionfo polemico di Parigi (all’Opéra ha fatto il Moïse francese di Rossini) aveva annunciato a Venezia una regia particolarmente scarna e rispettosa. Così la sua maggiore cura è stata proprio mettere nel giusto risalto il testo bellissimo di Lorenzo Da Ponte, una specie di summa dei suoi libretti, e lo splendore cristallino della musica. Da parte sua, Ronconi ha solo accentuato il contrasto di certe inquietudini, leggendo con sensibilità moderna un classico che da sempre è oggetto di culto. Ha evitato cioè la maniera lieve o peggio in ‘stile gazebo’ in cui l’opera spesso è stata rappresentata, riconsegnandola allo spettatore contemporaneo con tutte le angosce che lì sono magari esorcizzate.
Gianfranco Capitta
«Il Manifesto»
10 novembre 1983
Il punto di partenza è l’accettazione della finzione e delle regole del gioco: i quattro personaggi si presentano come marionette governate da due burattinai, Don Alfonso e Despina. Ma la proposta iniziale viene sottoposta a progressive modifiche e anche il tema della maschera – ricorrente nel Mozart della piena maturità – non occulta la psicologia, ma propone una psicologia inafferrabile. ‘Né cipria né lumi’, ha dichiarato Ronconi: ossia né leziosaggini, né abusi illuministici e razionali.
Mario Messinis
«Il Gazzettino»
10 novembre 1983
L’impianto visivo è dominato da un sipario interno che divide il palcoscenico in due grandi spazi, verso il pubblico, con prolungamento oltre la fossa dell’orchestra, e verso lo sfondo dove pochi accenni di paesaggio alludono a una Arcadia convenzionale. Intorno a questa linea di confine i personaggi si muovono e si affannano, non avendo spesso altro scenario che quello della sala della Fenice stessa e del pubblico convenutovi, con beneficio della concentrazione sulla commedia delle macchinazioni e dei movimenti psicologici. Poco resta della comicità in presa diretta, della farsa che ha spesso dominato gli allestimenti di quest’opera (specialmente nei Paesi di lingua tedesca, dove la difficile comprensione del libretto italiano induce a calcare la mano nella gesticolazione).
Giorgio Pestelli
«La Stampa»
10 novembre 1983
A Vienna o a Salisburgo, le città che sono considerate le più elette depositarie dell’autenticità rappresentativa mozartiana, non si guarda, quanto a soluzioni sceniche, tanto per il sottile. La commedia più futile, ma anche più elegante, che abbia scritto Da Ponte (…) si presta a essere letta in una chiave semplificata, con una bonarietà comica, pesante e godereccia. Da Rennert a Hampe, per citare alcuni nomi celebrati in Austria, il rito delle buffonerie esibite (…) è stato una regola aprioristicamente accettata, con conseguenze disastrose proprio per il Così fan tutte, che non è un’opera rettilinea e drammaturgicamente conseguente come il Figaro o il Don Giovanni, essendo costituita di paradigmi teatrali artificiali. Ma l’elogio della convenzione tipico di questo ‘dramma giocoso’, non pregiudica, sul piano musicale, la legittimità di interpretazioni polisense in cui, al limite, qualsiasi strategia rappresentativa è lecita, tranne quella dell’immediatezza farsesca comunemente accettata. Luca Ronconi ha scelto il partito più difficile: quello di alludere a una possibile credibilità sentimentale, senza chiudere però il discorso in maglie troppo rigide, consentendosi, di conseguenza, continue e sottili infrazioni.
Mario Messinis
«Il Gazzettino»
cit.
I personaggi agiscono con un’assolutezza scenica che quasi mai si vede su d’un palcoscenico musicale. Il loro esser musicisti non costituisce mai un problema ed un peso per l’azione. Il lavoro di Ronconi raggiunge in questo senso livelli mirabili di perfezione. I caratteri, i sentimenti, le allusioni sono intensamente vissuti nei gesti senza uno stacco o una frattura rispetto al canto. C’è in questa versione di Così fan tutte una dimensione teatrale formalmente inattaccabile, che si svela pienamente sulla scena. Ronconi s’impegna talmente a svolgere il gioco elegante ed amaro dei sentimenti da lasciar crescere con un’evidenza bellissima il carattere drammatico e crudele – anche se espresso con un sorriso – del finale. Nella sua stilistica Così fan tutte è infatti una messa a nudo spietata dell’umano e l’amarezza mozartiana ha qui il massimo di risvolto moralistico. La storia incrociata degli amanti è per Ronconi condotta dagli uomini con la consapevolezza di quelli che sanno e conoscono la crudeltà del meccanismo che hanno messo in movimento, mentre dalle donne viene vissuta con la forza naturale irresistibile dell’istinto. Fiordiligi e Dorabella portano nella vicenda l’aria del desiderio. Don Alfonso è segnato da lampi sinistri di una umanità cinica. Non ha troppo l’aria di uno che gioca: sono quasi le sue viscere a condurlo nella spietata messa a nudo della natura umana.
Duilio Courir
«Corriere della Sera»
10 novembre 1983