Dal Patalogo 12 (Ubulibri, Milano, 1989)
per gentile concessione dell'Associazione Ubu per Franco Quadri
Subito dopo i lavoratori dello Stabile, - che pochi giorni prima avevano censurato Gregoretti e la sua gestione ("Abbiamo strutture e uomini per viaggiare come una portaerei e invece siamo costretti a tenerci a galla come una qualsiasi barchetta": «La Stampa», 28 ottobre 1988), esprimono il loro gradimento al neo-direttore, invitandolo però, "sulla scorta di concrete motivazioni professionali, a considerare gli elementi interni del Teatro Stabile in grado di affrontare tutte le nuove (si sottolinea 'nuove') situazioni che il cambio di disciplina verrebbe a creare" («La Stampa», 17 novembre 1988)
All'atto della nomina, un mese più tardi, si scatena un vero fuoco d'artificio di pareri e "dritte", doverosamente riportati dalla «La Stampa» il 20 dicembre.
Nico Orengo (Pri): "Attenzione, uno come Gregoretti poteva rompere una tazza, Ronconi potrebbe rompere l'intero servizio".
Maria Pia Bonanate (Dc): "Lo Stabile ha bisogno di un direttore sempre presente: verificheremo se Ronconi si impegna a rispettare le nostre richieste".
Ayassot (Pci): "Sarà compito di Ronconi, oltre che del presidente e del consiglio, proseguire sulla via della crescita con una grande attenzione ai problemi amministrativi".
Ma «La Stampa» si era da tempo impegnata in una campagna anti-Gregoretti, mentre nei corridoi si sussurrava che proprio il critico teatrale della "Stampa" fosse uno dei candidati alla direzione. Proprio Guido Davico Bonino, lo stesso 20 dicembre, s'incarica di "consigliare" Ronconi e i suoi "grandi elettori":
"La scelta di Luca Ronconi alla guida dello Stabile (a parte la metodologia decisamente sbrigativa con cui è stata operata) è, sotto il profilo del prestigio e sotto quello artistico, ineccepibile. Dopo Giorgio Strehler, Ronconi è il migliore regista che l'Italia possa vantare, decine di spettacoli di prosa e di lirica, a teatro e in televisione, stanno lì a testimoniarlo: e l'ultimo è una produzione dell'ente di cui ha da oggi assunto la direzione, quella Mirra che rivedremo in primavera. E certo, dunque, che gli allestimenti ch'egli realizzerà per il pubblico torinese saranno del più alto livello, qualunque giudizio se ne dovrà dare, partitamente: e contribuiranno a restituire allo Stabile molta della credibilità perduta. Ma lo Stabile stesso ha un bisogno urgente anche di un direttore-manager, di un Riorganizzatore aziendale, di un promotore di nuovi, vitali contatti al più alto e al più basso livello, a Roma come all'estero, in città come in regione; e ho molti sinceri dubbi che Ronconi sappia e voglia e abbia soprattutto materialmente il tempo (lui che passa dodici ore al giorno nel buio della platea, a rifinire senza sosta uno scambio di battute tra due suoi interpreti) di occuparsi di siffatte questioni. Per cominciare, tra Scala e Audac, tra un Oberon di Weber e le Tre sorelle di Cechov per il circuito regionale umbro, per alcuni mesi non avrà letteralmente modo di stare al tavolino, nel suo ufficio di piazza Castello. Ma anche quando avrà messo radici in sede, non lo vediamo proprio discutere al telefono con impresari pubblici e privati su anticipi e percentuale d'incasso, o condurre sfibranti riunioni sindacali, o tentare di migliorare i pessimi rapporti tra teatro e università, o aprire il mai aperto dialogo con entità culturali locali e con forze teatrali minori: o anche, semplicemente, dar nuovo respiro ad altri settori dello Stabile, come quello ragazzi, che vivono unicamente della passione e dell'ostinazione dei singoli. Se (sto facendo un'ipotesi fantascientifica) Strehler andasse a dirigere il festival di Salisburgo e invitasse Ronconi a succedergli, queste mie osservazioni non avrebbero alcun senso, perché nei piccoli uffici di via Rovello lavora una compagine di quadri aziendali coi fiocchi, esperta d'ogni problema, votata al lavoro fino all'abnegazione. Sono stati tutti allievi (qualcuno è stato famigliare) del più grande direttore-manager del teatro italiano, Paolo Grassi. A Torino Grassi non l'abbiamo avuto mai: pretendere d'improvviso che Luca Ronconi vi si reincarni, ripensando da capo struttura, mansioni, funzioni, finalità dello Stabile (e il tutto in due anni, nelle pause tra una prova e l'altra) è, a voler essere benevoli, una candida utopia".
(A proposito del "miglior regista italiano dopo Strehler": nel presentare la stagione '88-89, gestione Gregoretti, lo stesso Davico Bonino definiva Ronconi "il nostro più creativo regista", «La Stampa», 22 luglio 1988).
A questo punto, l'ex direttore Gregoretti poteva forse risparmiare i suoi illuminati consigli?
"Per alcuni mesi lo affiancherò nella direzione e gli ricorderò che mi hanno sempre rimproverato di non andare alle prime, di non curare i rapporti importanti, di boicottare quelli con l'università, sebbene fossero di fatto inesistenti, ma credo che dovrà soprattutto stare attentissimo al bilancio". (da un'intervista di Franco Garnero, «Il Giorno», 22 dicembre 1988)
[...]
Pochi mesi più tardi, Ronconi presenta il programma della sua prima stagione da direttore, con scelte indiscutibilmente innovative: tre testi del Novecento (Besucher di Botho Strauss, Strano interludio di O'Neill e L'uomo difficile di Hugo von Hofmannsthal); la coproduzione - per Besucher - con un teatro privato, l'Eliseo; e il tentativo di lavorare con un gruppo d'attori il più possibile "stabile".
Besucher sarà coprodotto al cinquanta per cento dal teatro Eliseo. E la prima volta che lo Stabile collabora con un teatro privato. E stato scelto l'Eliseo, dice Ronconi, perché è il teatro che meglio e più degli altri ha lavorato in questi ultimi anni, raggiungendo una quotazione artistica e organizzativa che ci permette di rallegrarci dell'alleanza. Il secondo spettacolo, Strano interludio, costituisce un impegno specialissimo.
Dice Ronconi:
"Da tempo, da molte parti e non sempre a torto si rimprovera al teatro italiano di non preparare i ricambi per il teatro di domani e di non cercare, fra le giovani leve di attori, quelli che dovranno rimpiazzare i validissimi di oggi".
E allora, per riproporre quest'opera in nove atti che mancava da una quarantina d'anni dalle nostre scene, Ronconi sceglierà una compagnia di giovani che, la prossima estate, seguirà un lungo seminario di studio in Umbria. Lo scopo è lavorare sui tempi lunghi (indispensabili a ogni teatro degno di questo nome) e prefigurare quella compagnia stabile a cui Ronconi tiene moltissimo, nella quale i giovani si affiancheranno alle leve più mature in un laboratorio permanente. Questa compagnia avrà la sua prima utilizzazione nell Uomo difficile. Questi tre spettacoli non sono il programma della prossima stagione, ma un frammento, anche se impegnativo e centrale." Osvaldo Guerrieri (da «La Stampa», 13 maggio 1989)