Scompare Nunzi Gioseffi, a lungo collaboratrice di Ronconi


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Rassegna Stampa

dal Patalogo 21 (Ubulibri, Milano, 1998) 

per gentile concessione dell'Associazione Ubu per Franco Quadri

 

 


La Nunzi proprio non me la sento di storicizzarla. Importante, cara, segreta, era una persona vera, come nel teatro italiano non ce n'è. Lo si capì subito dalla sua prima apparizione pubblica, alla guida del Rondò di Bacco affidato a Pier'Alli al tempo del Carrozzone, uno spazio per la ricerca come li, nel centro di Firenze, non s'è più riusciti a rimontarne, ancora poco pratica e quindi chiusa e severa, perché una scorza dura ce l'aveva dietro quell'aspetto di fiorentina bene, familiare alle battaglie della sinistra d'allora. Ma fece presto ad accaparrarsi gl'incarichi più prestigiosi e scomodi al Teatro Regionale Toscano, come quello di seguire il progetto Kantor per Wielopole Wielopole. Proprio di Kantor si mise a parlarmi d'un tratto l'ultima volta che fui a trovarla, nella sua breve ma atroce degenza a Perugia, naturalmente al riparo da ogni sguardo, dopo un anno di lavoro col male addosso: "Ora che la morte s'avvicina", mi fece a un tratto, riprendendosi dall'assopimento, "mi capita di ritornare alle cose che ho passato e mi è venuto in mente Kantor: era proprio un artista, un onore averci lavorato, nonostante il carattere..." E le sue urlate ancora la facevano ridere, mentre quella visione non la lasciava. Senza di lei non ci sarebbe stata neppure la stagione gloriosa del Metastasio e del Fabbricone, dopo il Laboratorio di Prato, negli anni '80. E l'incontro con Ronconi tra le difficoltà d'impianto della Commedia della seduzione e quindi del torrenziale Ignorabimus, fu determinante per lei e per lui: lei, perché aveva capito che quel teatro aveva una necessità e valeva una vita; lui, perché aveva trovato la persona capace di precorrere le sue esigenze e di risolvergli ogni problema organizzativo. Da quelle memorabili occasioni di Prato alle stagioni di Torino e poi di Roma, la Nunzi praticamente si prese Luca in pugno e ne fece un direttore: perché lei copriva negli Stabili, a suon di deleghe, tutto quello cui lui non poteva arrivare sul piano tecnico e gestionale essendo occupato nelle regie; e lei poteva farlo perché ne intuiva le volontà e sapeva completarle, e gli organizzava tutta la vita di relazione, ma anche la casa, mentre trattava con attori e amministratori, mandava avanti coproduzioni e tournée. Era molto più di un manager, un punto di riferimento e una persona di generosità senza uguali. Il suo telefonino era li per risolvere i dubbi, le lacune, le angosce personali, oltre che per suggerire idee. Ora non è solo Ronconi a trovarsi senza una complementarità insostituibile, ma il teatro italiano, quello più serio e impegnato, a soffrirne ora il vuoto. E per chi l'ha conosciuta e se ne è inevitabilmente servito, perché nessuno era come lei "a disposizione" a dispetto dell'apparente ruvidezza, il vuoto pesa tanto, perché conoscerla un po' significava volerle bene. Ricordo che un paio d'anni fa nei 'ringraziamenti' in apertura di Patalogo la Nunzi figurò una dozzina di volte, forse anche più: era un debito, ma anche un gioco affettuoso. Quest'anno questo volume possiamo solo dedicarglielo col pensiero per farle sapere, sotto una vernice professionale come il suo pudore avrebbe preferito, quanto ci manca e continuerà a mancarci.
Franco Quadri