Progetto Domani

Tra il 2005 e il 2006 per otto mesi sessantotto attori, distribuiti in cinque compagnie, vengono diretti da Luca Ronconi nella messinscena di cinque testi: due propriamente teatrali, il classico Troilo e Cressida di William Shakespeare e il contemporaneo Atti di guerra: una trilogia di Edward Bond, a cui si affiancavano Il silenzio dei comunisti, un carteggio tra Vittorio Foa, Miriam Mafai e Alfredo Reichlin pubblicato da Einaudi, e due testi commissionati per l'occasione: Lo specchio del diavolo dell'economista Giorgio Ruffolo e Biblioetica. Dizionario per l'uso di Gilberto Corbellini, Pino Donghi e Armando Massarenti. 

 

 

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Rassegna Stampa

dal Patalogo 29 (Ubulibri, Milano, 2006

per gentile concessione dell'Associazione Ubu per Franco Quadri 


Con il sindaco Sergio Chiamparino abbiamo valutato che il teatro di Ronconi sarebbe stato in grado di dare alle Olimpiadi della cultura una grande forza trainante'. E continua dicendo fra l'altro: 'Si dice che avremmo potuto fare venti spettacoli anziché cinque ma chi ne avrebbe mai parlato? Ci prendiamo tutte le nostre responsabilità. Ronconi è il meglio del teatro italiano, il più conosciuto al mondo e ci ha proposto insieme al Teatro Stabile un progetto forte sui contenuti all'altezza dell'evento. D'altra parte il teatro di Ronconi ha sempre suscitato polemiche. Se non lo avesse fatto ci sarebbe stato da preoccuparsi.
Dichiarazione di Fiorenzo Alfieri
«L'Unità»
6 febbraio 2006
Perché il progettista di 'Domani', Walter Le Moli, non ha affidato i cinque spettacoli a cinque diversi registi, di quelli che hanno fatto gloriosa la storia di Torino? E un'idea semplice e democratica. Non credo che il solo Ronconi possa rappresentare il teatro italiano. Né credo che la sfida sua, o di Le Moli, interessi a qualcuno. Pessimo Le Moli a pensarla, triste Ronconi ad accettarla. Se Ronconi è stato quaranta anni fa uno degli innovatori della nostra scena, oggi ne è l'esecutore testamentario. Il rinnovamento consisteva nell'idea della regia critica, nell'aver fatto un'arte della regìa teatrale. (...) Il teatro, come Ronconi dimostra, è diventato un prodotto industriale, e io che sono qui a fare di ciò la cronaca ho l'impressione d'essere all'inaugurazione di alcuni modelli della Fiat: bella linea, linea arcuata, linea spigolosa, linea vista nel 1976, linea avveniristica, eccetera. E niente altro.
Franco Cordelli
«Corriere della Sera»
3 febbraio 2006
Mentre molti suoi colleghi passano il tempo tra proteste, spettacoli realizzati con la calcolatrice sempre accesa, delusioni e alla fine poca fantasia, Ronconi spende 7,5 milioni di euro (circa 15 miliardi di vecchie lire) per realizzare cinque spettacoli in occasione delle Olimpiadi invernali di Torino. Uno solo andrà in tournée, il Troilo. Come si fa a non considerare questo uno spreco, un'offesa per chi rischia di non poter più calcare le scene? Il finanziamento, si obietta, è del Comune (guidato dal centrosinistra) e non va a intaccare la cifra risibile che il Fondo unico per lo spettacolo destina al settore. E poi, si obietta ancora, il numero di artisti impegnati a vario titolo da Ronconi è alto. Obiezioni accolte. Ma la scelta resta lo stesso discutibile: per l'ideologia che ha dietro, per l'Idea di cultura che esprime. Se quei soldi consegnati a Ronconi fossero invece stati distribuiti tra diversi registi, tra più esperienze teatrali, avrebbero dato il segnale opposto: di aperta critica al governo di centrodestra per la sistematica distruzione del teatro italiano, di apertura e di valorizzazione di un punto di vista plurale. La ricchezza culturale di un Paese non si misura con l'accentramento nelle mani di uno o di pochi, ma con l'allargamento: più. produzioni, più registi, più storie.
Angela Azzaro
«Liberazione»
3 febbraio 2006
Per fare qualche cifra: sessantotto attori, centocinque tecnici, otto mesi di lavoro, venti ore complessive di rappresentazione. Il costo è altissimo, fuori da qualunque normale parametro, sette milioni e mezzo stanziati dal Comune di Torino. Una spesa che inevitabilmente ha scatenato furiose polemiche: l'accusa, non solo da parte di alcuni gruppi cittadini, è di avere investito su un solo regista, su una sola iniziativa una cifra con cui, in tempi di tagli al Fus, si sarebbero potute finanziare per anni chissà quante realtà bisognose di mezzi di sopravvivenza. E chiaro che in questa osservazione c'è molto di vero: in una fase di scarse risorse per tutti, la sproporzione può apparire sfacciata. E vero altresì che scelte di questo genere non si possono 'sindacalizzare' più di tanto: in qualche misura, la bontà o meno di un tale sforzo si giudica anche in base al risultato ottenuto. Polemiche simili c'erano state quando Ronconi allestì, sempre a Torino, Gli ultimi giorni dell'umanità di Kraus (allora, se ricordo bene, si era speso circa un terzo della somma attuale, ma per un solo spettacolo) : pareva un inutile spreco, ma in definitiva ne era nato un avvenimento che è entrato nella storia del teatro.
Renato Palazzi
«Il Sole 24 Ore»
5 febbraio 2006
Man mano che debuttavano gli spettacoli è emersa la natura unitaria e organica del progetto: verificare sperimentalmente la possibilità del teatro di misurarsi oggi con i grandi temi del pensiero, della politica, della modernità, senza perdere il rapporto con la tradizione. Dunque la lettura 'contropelo' della guerra di Troia (impossibile non collegare questo Troilo e Cressida al Bond, agli Ultimi giorni, ai Soldati di Lenz poco dopo in scena a Milano, in una riflessione di ampio respiro sulla guerra) per arrivare fino alle biotecnologie e all'economia della globalizzazione. Non è solo e tanto un problema di contenuti, quanto di metodo. Si trattava di verificare laboratorialmente la scommessa dell'ultimo Ronconi, dal Pasticciaccio a Irifinities: usare come strumento di conoscenza il teatro - il lavoro di palcoscenico, l'interpretazione di un testo (non necessariamente drammatico) attraverso il corpo e la voce degli attori, l'esplorazione dello spazio e del tempo, la creazione di luoghi, immagini e figure (più che personaggi) che danno fisicità alle metafore, l'incontro con il pubblico. Aldilà dei singoli spettacoli (e queli che ho visto mi sono piaciuti), l'esperimento mi ha Incuriosito per questo. Quello di Ronconi è un teatro che non si accontenta di essere un museo (o una vetrina dell'Io), che non si chiude su se stesso e sulla tradizione, che non ha un messaggio da trasmettere, ma si propone come luogo di esperienza e di conoscenza.
Oliviero Ponte di Pino
«Hystrio»
n. 2, aprile-giugno 2006
Nel Progetto 'Domani' (consegnato con scelta 'assolutista' alle sole mani di Ronconi) a mancare è stato proprio il teatro come luogo dove il nostro reale è espresso con una lingua altra, priva delle semplificazioni dell'uso quotidiano e su cui, attraverso il corpo dell'attore, si condensano storie e non teorie o spiegazioni. Così il nostro futuro si è dispiegato sulla scena come un catalogo didascalico, illustrativo, semplicistico dei problemi che affliggono la nostra civiltà contemporanea. E anche la presenza di una materia all'origine densa di energia (Il silenzio dei comunisti) non è bastata a eliminare la fatica dell'attenzione e quindi la noia. Tutto il mondo è teatro e il teatro è immagine del mondo, è vero ma l'infaticabile, titanico regista affronta la riflessione politica, l'analisi economica, e gli interrogativi bioetici traslocando in blocco parole dalla pagina alla scena come se questo bastasse a far loro prendere vita, e relegando l'attore al ruolo di dicitore solitario, di anonimo strumento di trasmissione vocale.
editoriale
«Hystrio»
n. 2, aprile-giugno 2006
È già possibile azzardare il bilancio provvisorio di un progetto che non può essere unicamente ricondotto al problema dei suoi costi: nelle discussioni che esso suscita, o nei processi sommari che gli vengono intentati, sarebbe bene non perdere di vista la specificità del percorso, lo sforzo - anche etico e politico - di piegare lo strumento del teatro all'esigenza di porre in luce alcuni nodi cruciali del nostro tempo, che non a caso si intrecciano e si inseguono da un'opera all'altra. In questo senso Il silenzio dei comunisti e Lo specchio del diavolo sono due risultati assolutamente esemplari.
Renato Palazzi
«Il Sole 24 Ore»
12 febbraio 2006
Se dalla fisica si passa all'economia e alla politica tout court il prodotto non cambia se si intende creare un teatro di oggi misurandosi con la contemporaneità e coi suoi linguaggi scavalcando le regole della scrittura scenica. (...) Nello Specchio del diavolo Giorgio Ruffolo va aldilà delle barriere del tempo risalendo nei secoli con una partenza insospettata dalle origini, ma è la regia a evitare i pericoli della lettura per trasferire il discorso in una realtà parodistica in cui ogni figura evocata entra in campo, parlando magari di sé in terza persona, come accadeva negli spettacoli che Ronconi traeva direttamente dai romanzi di Gadda o di Dostoevskij senza sceneggiarli. Così nella prima parte, dedicata al rapporto tra economia e natura, ci troviamo in un supermercato tra enormi scomparti, commesse e avventori coi loro carrelli, ma anche degli economisti pronti a intervenire e in cima a uno stand c'è un Dio barbuto che dialoga con Adamo ed Eva, ma anche con una querula femminista sulla cacciata dall'Eden dove la loro necessità di sopravvivere ci fa entrare in materia, mentre di lì a poco faranno la loro entrata in scena gli spiritosi scimpanzè del Paleolitico. Ma cambiando le epoche entrano in campo avventurieri come John Law, Napoleone III detto Zelig e il deregolatore Nixon e, mentre la scena si riempie di biglietti di banca o di mappamondi, ecco comparire una bambina che si chiama Euro e quando alla fine approdiamo dalle speculazioni della deregulation alle speranze europee scoppia una furente gara razziale di un basket che somiglia al rugby.
Franco Quadri
«La Repubblica»
8 febbraio 2006
"Ad affascinare Ronconi in Lo specchio del diavolo sono le possibilità e le difficoltà della sua resa teatrale. Ma un regista che è riuscito a mettere in scena addirittura l'infinito non poteva certo intimidirsi di fronte all'eventuale estraneità della materia in oggetto. Riconosciutala come protagonista assoluta ha dunque lavorato sul testo delineando ampi snodi fondamentali e trasformando così un assolo in una polifonia di voci, di gesti, di mondi, in una lanterna magica che prende luce dal passato e dal futuro: un magma estremamente vitale e affascinante, diviso in tre parti dove ha modo di esaltarsi, attraverso le scene di Tiziano Santi, il gusto di Ronconi per il movimento, il rifiuto di un'immobilità costrittiva e soprattutto stantia e quel modo, tutto ronconiano, di considerare lo spazio come un fondamentale elemento drammaturgico allo stesso modo della scrittura e degli attori. Una storia ma non un digest, che mette in campo imbonitori e mascalzoni, che va dall'evoluzione della specie a quella dell'economia, dalla circolazione delle merci alla nascita delle banche e della carta moneta, dall'abbraccio mortale fra politica ed economia (causa prima dell'asservimento dei popoli poveri e delle guerre) alla deregulation monetaria imposta da Richard Nixon. Per chiudere con una partita di rugby, giocata in onore di una bambina di nome Euro, fra i sogni della vecchia Europa e le ossessioni dell'America. La rappresentazione di queste due ipotesi - dove una è probabilmente in crisi e l'altra è in divenire - è un invito alla responsabilità più che allo schieramento: per Ronconi una vera e propria dimostrazione di teatro 'politico' che riguarda la vita nella sua complessità.
Maria Grazia Gregori
«Teatro/Pubblico»
n. 4, 2006
Ronconi da parte sua, sgombra il campo da tanto polverone offrendo spettacoli non solo esteticamente rilevanti, ma che penetrano nella realtà come poche volte è successo nelle sale teatrali. Il regista coltivava da tempo il desiderio di trasformare in teatro II silenzio dei comunisti, lo scambio epistolare tra Vittorio Foa, Miriam Mafai e Alfredo Reichlin pubblicato da Einaudi quattro anni fa. Uno scambio sollecitato dal primo dei tre intellettuali, sul perché dopo la caduta del Muro non ci sia stata adeguata riflessione da parte della sinistra su quanto era successo prima. E quelle parole, quelle analisi e quelle ammissioni, restano tuttora senza una adeguata risposta. (...) La lucidità del ragionamento di Foà, la sincerità dell'esperienza diretta di Mafai, l'economia del cambiamento necessario secondo Reichlin, vivono in maniera straordinaria nei tre attori che quelle istanze portano. Luigi Lo Cascio, Maria Paiato e Fausto Russo Alesi danno corpo con coinvolgimento totale, di nervi e di viscere, a quei ragionamenti. Sono discorsi di quattro anni fa, ma risulterebbero buonissimi per oggi, anzi in qualche misura sembrano già pronti a mettere il silenzio alle arringhe berlusconesche in tv. La parole di Foa sono battenti e ineludibili, anche se sono moltissime le domande che pone, così come abbonda l'umanità di Mafai la cui politica si cala in una quotidianità tra desiderio e memoria. La condanna senza appello da parte di Reichlin sul dominio monetario americano e le sue implicazioni belliche e industriali fa paura, ma pure apre una speranza che Russo Alesi sottolinea con un grande coinvolgimento emotivo.
Gianfranco Capitta
«Il Manifesto»
8 febbraio 2006
Quello che ci cattura in questo spettacolo è come i tre interpreti ricerchino il senso delle parole, ne ricostruiscano il ritmo, la profondità di un pensiero. Impresa non facile che non ha nulla in comune con la lettura sia pure drammatizzata e nella quale i tre attori si trovano, spinti da Ronconi, quasi a giocare senza rete, a una sfida non facile con un linguaggio non teatrale: il testo nasce, infatti, da uno scambio di lettere diventato un libro. Cos'è, sembrano chiedersi gli attori e noi con loro, questo 'silenzio dei comunisti' di cui si parla: un'afasia, forse addirittura una difficoltà ad analizzare il proprio presente che si rispecchia anche nella difficoltà ad accettare fino in fondo le proprie radici, la propria storia? I temi che pone Foa - e il sorprendente Lo Cascio con lui -, come un amichevole ma intransigente inquisitore, ci riguardano tutti in qualche modo: verità, rivoluzione, libertà, ingiustizia, democrazia. Foa si rivolge a due amici, ma non fa sconti: bisogna andare a fondo anche nella propria esperienza, nelle proprie storie personali per trovare delle risposte in grado di farci andare avanti. Miriam Mafai, alla quale Maria Paiato offre la sua profonda sensibilità d'attrice, risponde ricordando la sua storia di giovane militante inviata in un sud contadino, la povertà estrema ma anche l'estremo rigore di quei militanti, di quelle masse e racconta di risposte che non le sono state date forse nell'ottica del mito della rivoluzione. (...) Questo magma incandescente e perfino sentimentale ma senza nostalgia del passato è quello che gli autori hanno consegnato a Luca Ronconi. Su questo il regista ha costruito uno spettacolo di una semplicità perfino commovente, ponendo il pubblico, seduto in una scatola chiusa, su di un pavimento mobile come di fronte a un'ipotetica macchina da presa: tre ambienti diversi di una casa in divenire che si sostituiscono gli uni agli altri, per poi incrociarsi, sovrapporsi come si sovrappongono le parole. Questo è lo spazio del corpo e della mente dove i tre magnifici attori si confrontano con i loro personaggi così speciali inseguendone, braccandone il pensiero, le parole: lucidamente antiretorico Lo Cascio, emotivamente insinuante Paiato. come spinto da una segreta ansia di conoscenza, da una ricerca di segretezza Russo Alesi.
Maria Grazia Gregori
«L'Unità»
6 febbraio 2006
Il teatro scopre di poter aiutare a capire meglio della semplice lettura o della pura volontà. Il pubblico, come in una soggettiva cinematografica, sta su una gradinata che permette il cambio di inquadratura. La gradinata infatti scorre da una parte all'altra delle Fonderie Limone di Moncalieri (dove Il silenzio dei comunisti è in scena per tutto febbraio) quasi facendo entrare noi spettatori nello spazio, mentale e ambientale di ognuno dei tre. In una relazione ravvicinata che si scioglie solo negli applausi interminabili.
Gianfranco Capitta
«Il Manifesto»
cit.
Assistendo a II silenzio dei comunisti di Luca Ronconi, quando cambia la scena e ci si accorge che a cambiare siamo anche noi spettatori deposti in uno scatolone che scorre su rotaie, allora ci si chiede: perché questo marchingegno? A Ronconi, si sa, piacciono le macchine. A volte, anche a noi. Ma se le macchine non servono a niente, non producono senso (bellezza), se servono solo a stupire, i quattrini era meglio impiegarli in altro modo. Lo ribadisco, con ferma convinzione.
Franco Cordelli
«Corriere della Sera»
6 febbraio 2006
Ma non si pensi che l'interesse di Ronconi si riversi unicamente sull'ingegnoso espediente scenografico: lungi dal risolversi in un algido dibattito, il confronto fra gli storici protagonisti - affidati ad attori ben più giovani, Luigi Lo Cascio, un Fausto Russo Alesi fin troppo veemente e una grandissima quel suo tratto da casalinga un po' sciatta - si esprime in argomentazioni tese, vividamente personalizzate, con molti guizzi d'ironia. Tutti, ovviamente, si aspettano l'incontro, il convergere dei tre in una sola casa: e quando infine puntualmente avviene, l'effetto - pur previsto - è stranamente commovente.
Renato Palazzi
«Il Sole 24 Ore»
cit.
Non a caso, gli spettatori sono sistemati su una gradinata che scorre orizzontalmente, scoprendo via via le stanze (quelle di un appartamento metaforicamente in corso di restauro!) occupate da Foa, da Reichlin e dalla Mafai: in tal modo si determinano, insieme, gli effetti della carrellata e della dissolvenza incrociata. E dunque sono gli spettatori medesimi, assimilati alla macchina da presa, che diventano gli artefici del 'film' a cui stanno assistendo. E 'straniarne', del resto, è anche il fatto che, ad incarnare i tre personaggi protagonisti, sono attori molto più giovani di loro. Uno sguardo 'neutro', infatti, occorreva gettare su una simile materia: le lettere, sette in tutto, che si scambiarono Foa, Reichlin e la Mafai, a partire dalle domande rivolte agli altri due dal primo: perché, finito il comunismo, continua l'anticomunismo, e continua come aggressione e come insulto? E da che cosa (da una certezza, da una speranza, da una possibilità) si sono distaccati gli ex comunisti che oggi, per l'appunto, hanno scelto di starsene mutati nel silenzio?
Enrico Fiore
«Il Mattino»
6 febbraio 2006