Laboratorio di Progettazione Teatrale di Prato

Dal Patalogo 10 (Ubulibri, Milano, 1987)

Al Laboratorio di Progettazione Teatrale di Prato si dedica, alla fine della decade, nell'anno uno del "Patalogo", Luca Ronconi. Non ha l'intento di proporre uno spettacolo ma, attraverso una serie di spettacoli, di indagare sulla comunicazione; le proposte che giungono in porto riguardano lo smontaggio del testo e l'analisi del concetto di rappresentazione; Calderòn di Pasolini e La Torre di Hofmannsthal sono due riflessioni su un classico paradigmatico (La vita è sogno), Le baccanti, una visitazione della tragedia a una sola voce (Marisa Fabbri), offerente e ricevente, dalla parte dell'autore e del pubblico, saltando la barriera dei personaggi, nelle stanze continuamente rimodellate di un vecchio collegio. C'è in ballo, in questo cenacolo di utopie, un metodo di recitazione e una ricerca sullo spazio che, con l'intervento di Gae Aulenti, segna con linee immaginarie il territorio di Prato.

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Rassegna Stampa

Dal Patalogo 1

per gentile concessione dell'Associazione Ubu per Franco Quadri

 

Il progetto di Gae Aulenti

1. Il teatro e la città (Il Laboratorio di Prato). Sovvertimento delle tipologie architettoniche riguardanti luoghi della città attraverso l'utilizzazione teatrale.

[...] Concretamente attraverso il lavoro sulla comunicazione teatrale, lo studio dei luoghi a essa destinati, costituisce una lettura pertinente del Territorio. Essi sono luoghi autonomi che si propongono come momenti particolari di quell'insieme di attività che è la comunicazione teatrale, luoghi dove si attesta il primo rapporto Teatro-Territorio. Questa attività è critica: si prende gioco delle gerarchie e delle divisioni che il territorio impone cosicché Teatro, Banca, Capannone industriale, Orfanotrofio, Cementificio diventano tutti luoghi di comunicazione, e all'interno di queste tipologie, il teatro esercita la sua attività indifferente alle convenienze dei generi, dei soggetti, dei fini di questi edifici. La nuova composizione di questi luoghi rimette in causa la loro tradizione retorica, i loro rapporti con la città: Teatro o Banca uguale centro storico, Orfanotrofio uguale fuori le mura, Capannone o Cementificio uguale periferia. Questi luoghi attraverso la funzione teatro determinano altre forze associative, articolano una diversa narrazione della città, la loro descrizione topografica diventa una topologia che non stabilisce nessuna preminenza morale, ma solo strutturale.

L'opposizione sistematica tra il luogo e la struttura scenica in esso contenuta avviene nei seguenti modi derivati dalle letture dei testi:

Vita è sogno: le figure spaziali corrispondenti alle strutture dei personaggi agiscono nel centro escludendo del Capannone industriale l'intervento delle pareti perimetrali che sono la sua sola definizione primaria.

La torre: la costruzione del nuovo contenitore scenico scorre aderente alle pareti, pavimento, soffitto del Capannone escludendole in un tranquillo parallelismo. Due linguaggi preclusi l'uno all'altro: evapora un contenitore, se ne sedimenta un altro.

Calderon: l'unificazione per mezzo di una piattaforma continua dei due elementi strutturali del teatro all'italiana, palcoscenico e platea, produce una trasgressione della loro tradizione gerarchica: questa non è semplicemente annullata bensì sovvertita.

Le Baccanti: il codice del "passaggio" da una stanza all'altra (apertura, porta) dell'edificio seicentesco è sfigurato mediante "cerniere" costruite e mutevoli, figure speciali che consentono non solo di transitare, ma di ingranare, per puro disorientamento, l'azione scandita determinata dal testo.

Il luogo dove la sede del laboratorio è stata pensata, il Cementificio, è l'opposizione alla rovina: luogo e spazio immaginario generatore d'ipotesi. Il luogo dove si svolge il lavoro dei gruppi, la Banca, è l'opposizione al suo ordine. L'indagine morfologica di questi luoghi, fatta attraverso le attività teatrali del Laboratorio, evidenzia le qualità apparenti dei manufatti che hanno storicamente svolto una funzione ma che oggi sono solo frammenti; il loro collegamento concettuale può creare nuovi assi di riferimento culturale della città, assi che divergono dai principi formativi della città dispersa, polverizzata, come luogo di una società parcellizzata. [...]

2. Spettacolo finale Teatro-Territorio.

Sulla base del lavoro del primo anno considerato come una preparazione di base, Luca Ronconi indica al Laboratorio nel suo insieme, una struttura drammaturgica per lo spettacolo finale sul territorio.

Lo schema ha per sua costituzione il compito di non far conoscere cose troppo conosciute pensando che la partecipazione collettiva allo spettacolo più che esercitarsi come deterrente delle conflittualità debba semmai farle esplodere, pensando quindi a una partecipazione che potrebbe definirsi aleatoria e casuale ma la cui rete di azioni rinviate di volta in volta a contesti più ampi, possa corrispondere e comporsi in una struttura di spettacolo rigorosa tale da poter inglobare un giudizio finale.

Tre parti:

1. Il viaggio: parla esclusivamente con materiali teatrali, essendo interno al teatro: dalla sua storia si ricavano testi che trattano di trasferimenti dalla città all'Arcadia, rifiuti o allontanamenti, fughe. Gli spettatori, cittadini di un territorio, organizzati in 20 piccoli gruppi di 40 spettatori ciascuno, vengono portati con mezzi locomotori (camions, vagoni ferroviari, attrezzati ciascuno per l'allestimento di una rappresentazione) dalla città a "fuori"; e nella loro condizione di reale tra- sferimento, ciascun gruppo riceve da un solo attore (dall'esperienza delle Baccanti) la storia di un viaggio verso un luogo utopistico di uscita. I testi rappresentati sono per esempio: Uccelli di Aristofane, Il sogno di una notte di mezza estate, Come vi piace, La tempesta di Shakespeare, eccetera.

2. La visita: qui gli ottocento spettatori percorrono liberamente attratti o respinti dagli eventi rappresentati, tre colline; le azioni di questi eventi accolgono gli spettatori per intrusione producendo lavoro teatrale. Due colline, immense mammelle, sono il territorio come servizi, la terza è il luogo del territorio amministrato e del territorio rappresentato. Il compito di questa seconda parte è di far diventare teatrali materiali che non lo sono. È lo sbarco del teatro su un territorio che determina l'enigmatica condizione della peregrinazione, della visita di luoghi pieni di azioni molteplici agite con materiali da costruire e da formare: da una parte abitare di azioni un teatro (cratere, cava, cavea) e un manufatto (tana, casa) esistenti sulla collina e dall'altra, ma in maniera specchiata e capovolta, mettere in azione i materiali del vuoto creato dalla costruzione di una cavea e dal suo recitarci dentro, per costruire, con i prodotti dello scavo, una casa, ma ipogea e funzionante.

3. Il ritorno: attraverso l'artificio delle conferenze, illustrazioni di tematiche, si innesta il momento dialettico, non tra pubblico e spettacolo, ma sempre interno a esso, alle sue due prime scansioni: tra la prima e la seconda parte dello spettacolo e tra i molteplici elementi della seconda parte tra loro. Le "conferenze" sono gli incroci dei materiali delle prime parti, nodi che hanno il compito di far capire allo spettatore che, come nella prima parte il tema era propriamente quello del teatro, nella seconda era proprio quello del territorio; esse offrono nuove possibilità di raggruppamenti di spettatori, ma questa volta da loro scelti e forse disperatamente ricercati.

 

Nello spazio dell'ambiguità Franco Quadri intervista Gae Aulenti

Quadri — Nel teatro italiano per anni la scenografia ha coinciso con un fatto di immagine, qualcosa di decorativo, da vedere, tra l'altro abbastanza lontano dalle ricerche fatte dagli artisti figurativi; parallelamente però si sono operati molti tentativi di distruggere non solo questo cattivo uso, ma la scenografia tout court, così nel nuovo teatro si è assistito a una sua graduale vanificazione. Il tuo lavoro a Prato riapre un discorso, per l'uso che aldilà della scenografia tradizionale tocca il concetto di spazio. È un fatto di un'importanza radicale e sorprende che qualcuno non se ne sia neanche accorto. Ora vorrei che se ne facesse un'analisi, e siccome il risultato più completo in questo senso lo si è avuto con La torre, che tu analizzassi il tuo intervento nella Torre; ma forse è meglio come presupposto vedere perché il lavoro sulla Torre può essere anche concettualmente più importante...

Aulenti — Rispetto al Laboratorio?

Quadri — Sì.

Aulenti — Comincio con un pò di disordine, poi forse ricostruiamo... Io credo che tra i prodotti del Laboratorio di Prato, La torre sia quello che può essere analizzato in maniera più completa, perché è una rappresentazione che si appoggia alle sperimentazioni precedenti senza dichiararle, così come nelle Baccanti, così come nel Calderon. Per le Baccanti l'assumere tutto il testo da parte di un'attrice sola è una dichiarazione artifiacile in un certo senso, aldifuori poi del risultato che invece è completo, però è una dichiarazione a priori di carattere sperimentale; per il Calderon l'assumere un testo che non è teatrale e farlo diventare teatrale è un'altra dichiarazione di sperimentazione, nella Torre forse perché è stata l'ultima cosa fatta e quindi poteva trovare appoggio nelle altre esperienze, non c'è niente che dichiari l'esperimento ma si tende invece a una compiutezza, a una totalità dei rapporti, di tutti i rapporti drammaturgici.

Quadri — Non c'è nessun partito preso insomma.

Aulenti — Diciamo che non c'è nessun dato sperimentale emergente, ma che è uno studio dell'emergenza teatrale.

Quadri — Per quanto da un partito preso se vogliamo, si fosse partiti: quando Ronconi aveva prospettato la trilogia imperniata sulla Vita è sogno, La torre rappresentava, come impostazione voluta, il momento naturalistico.

Aulenti — Sì, però mentre parlo di questo conosco già un risultato, non posso dimenticare che i risultati teatrali già ci sono, e quindi quella trilogia: Vita è sogno, Calderon, La torre, appare oggi come una scelta di ordine letterario, un confronto, di testi...

Quadri — Letti in termini teatrali però...

Aulenti — Letti in termini teatrali per farne esplodere le identità e le differenze.

Quadri — Però in questa lettura di ordine letterario, subito, fin dal primo momento, l'interpretazione dello spazio era fondamentale.

Aulenti — Sì, perché primaria è la definizione del luogo dove tutti i rapporti drammaturgici possono esercitarsi. La prima ipotesi di lavoro per La vita è sogno assumeva addirittura lo spazio come personaggio, che avrebbe dovuto verificare lo scontro della recitazione contro se stesso. Una ipotesi di lavoro che ritrovammo a un certo momento completamente cambiata, deformata, ma che dava alimento e sostanza allo studio, alla costruzione di tutto il lavoro del Laboratorio. Un insieme di circostanze nate come ricerca si sviluppano poi secondo l'ordine necessario alla Torre, se vogliamo parlare della Torre, o al Calderon, o alle Baccanti, cioè, da ipotesi di ordine assolutamente generale, come necessità di prova e di sperimentazione, ci si è calati poi nell'ordine delle cose di quel testo, di quella teatralità, quindi con una definizione assolutamente legata a quel progetto. Il progetto generale si è andato a distribuire così come doveva nelle varie situazioni.

Quadri — Allora partiamo con una analisi del lavoro su La torre.

Aulenti — Ecco, sì ho capito perché fai questa domanda e vuoi da lì risalire all'esperienza generale di questi due anni. Perché ci scontriamo subito, per esempio, con un dato, che è quello del luogo per La torre cioè il Fabbricone, luogo che è già stato discusso dalla politica teatrale che si stava facendo all'interno del Laboratorio, e all'esterno con la città di Prato. Quindi, quando si dice Fabbricone e si dice contenitore scenico della Torre, si dice anche una risultante di altri studi fatti prima. Allóra, il luogo della Torre, secondo me, è importante già aldifuori del contenitore stesso. L'avvicinarsi al contenitore attraverso una serie di separazioni, di cortili, che definiscono questa zona industriale di Prato, è già importante, infatti quando arrivi dentro al Fabbricone, hai già superato un cancello, una prima porta, superata poi una seconda e ti trovi di fronte l'esterno del contenitore, di cui vedi la costruzione, vedi tutti gli elementi che lo sostengono, e poi entrando dentro le sue porte ti ritrovi in questo interno. Ecco una serie di passaggi che definiscono la sua ambiguità. Il non sapere mai se sei dentro o fuori qualche cosa, se è interno o esterno. Tutta l'azione teatrale svilupperà per tutti e sette i quadri questa ambiguità: è un dato di partenza. L'altro dato di partenza è un'altra ambiguità che è quella del reale e del non reale: le diverse separazioni che superi, questi passaggi ti portano dentro un luogo che è costruito come un calco di un luogo esistente, una sala della reggia di Wiirzburg di Balthasaar Neumann, calco proprio perché è riprodotto tale e quale.

Quadri — E stato ridotto con delle cesure...

Aulenti — Sì, è stato deformato, è stato leggermente ridotto e leggermente alzato per riprodurre anche la reale percezione che si ha della sala di Wiirzburg quando la trovi arrivando dal basso percorrendo un'immenso scalone. Questa riproduzione fatta tale e quale ti trasmette continuamente l'ambiguità dei materiali della sua costruzione, è plastica e non è muro, è pittura e non è affresco, è lacca e non marmo, la sua struttura portante è legno esile invece che muratura, quindi definisce il luogo della finzione, la sua ambiguità. Questi due dati sono la prima decisione dopo parecchi mesi di lavoro sul testo, la prima decisione che localizza, determina il luogo di azione della Torre. Questa decisione secondo me è molto importante, perché non riguarda solo l'intuizione di determinare un luogo, Una architettura precedente a quando il testo è stato scritto da Hofmannsthal, io credo che dica anche qualche cosa in più che è la necessità oggi di un luogo dove possa agire il Teatro. Questo avviene anche, per esempio, con le Baccanti, il decidere che la sede è l'Istituto Magnolfi non è un suggerimento diretto, è un suggerimento indiretto ma non di ordine intuitivo. Quando tu hai un palcoscenico e agisci con un testo e con una azione teatrale sul palcoscenico, questo luogo è così deputato a accogliere questo insieme che non concede discussione. Ma oggi c'è il bisogno, la necessità di determinare il luogo dell'azione prima che l'azione si svolga, prima che l'azione si dipani con tutte le sue articolazioni. Io l'ho visto sia per le Baccanti che per La torre, e anche in un certo senso per il Calderon, perché in questa messinscena la decisione di unificare la platea e il palcoscenico del Teatro Metastasio che lo ospita, è sì la risposta al fatto che la platea é il luogo della borghesia è quindi la si assume come luogo dell'azione, però non è tutto. La determinazione del luogo è come una necessità di ancoraggio, in un momento in cui non esiste un luogo teatrale, una tipologia teatrale.

Quadri — Sì, ma adesso bisognerebbe vedere come nasca l'esigenza di costruire questo luogo, la sede della reggia di Wurzburg, all'interno di uno spazio industriale come quello scelto. Infatti un'abitudine teatrale suggerisce, quando si agisce in decentramento, in determinata situazione sia locale che spaziale, di attenersi a questo contenitore nudo che richiama certi precedenti appunto del lavoro che primo ci si è sviluppato, che è riconoscibile dal pubblico, eccetera eccetera. Invece qui all'interno di questo luogo ne viene costruito un altro, questo altro non obbedisce, come hai già detto tu, a esigenze storiche, dal momento che il testo è stato scritto da un austriaco, è ambientato in Polonia, è del 1925, e invece si prende un palazzo barocco di una reggia imperiale tedesca, anche se magari in corrispondenza con lo stile della scrittura... Vorrei insistere sui criteri di questa scelta "ambigua", sull'esigenza soprattutto della costruzione all'interno del Fabbricone, e di fare agire degli attori in questo contenitore assolutamente finto e assolutamente vero allo stesso tempo, se vogliamo.

Aulenti — Secondo me è l'annuncio della ricerca di uno spazio teatrale moderno, contemporaneo, annuncio molto sfumato perché addirittura ricostruisci una stanza barocca, ma dichiarazione forte di esclusione dei contenitori che il teatro usa oggi. Il teatro dopo aver rifiutato il palcoscenico va nelle cantine, si porta nei luoghi del lavoro, della residenza, cioè in luoghi altri da quelli destinati al teatro, prova le strade, prova le piazze, va alla ricerca nella città del suo luogo, vuole in un certo senso avere un luogo a sé destinato, ma non esiste. Non esiste perché c'è l'impossibilità, oggi, di una globalità di corrispondenze tra società e produzione artistica, e quindi l'impossibilità di determinare una tipologia teatrale che tutti possano riconoscere. Questo è il lavoro di Prato, la ricerca, il riconoscimento di un luogo. Credo che nel Laboratorio, sia attraverso le Baccanti, poi dirò perché, sia attraverso La torre, ci siamo serviti di luoghi che non erano quelli teatrali, (una fabbrica, un orfanotrofio) ma, e questo è importante, dichiarandone l'esclusione, difatti non a caso, questa stanza per La torre è parallela esattamente al Fabbricone e lo esclude, proprio per parallelismo, è un luogo entro un altro luogo, è una volontà di volere il luogo adatto, il luogo perdente, il luogo dove tutte le corrispondenze teatrali siano possibili. Per il Magnolfi è un pò la stessa cosa, anche se in modo più misterioso voglio dire, meno diretto; dobbiamo ricordare che abbiamo cominciato il restauro dell'Istituto Magnolfi proprio dalla parte del teatrino esistente, restaurandolo secondo le indicazioni che quel luogo dava (per esempio la pittura tutta marrone scura del teatro); poi, quando siamo andati a invadere gli altri spazi dell'Istituto, abbiamo continuato quel processo; e questo dice proprio che ci siamo portati dietro la teatralità in tutti gli altri luoghi, i lunghi corridoi, le altre stanze connettendole tra di loro con le "cerniere", costruzioni mutevoli che avevano il compito di sfigurare e negare il semplice passaggio da un stanza all'altra dell'edificio seicentesco. Ecco che anche lì si è assunto uno spazio che non è stato affatto costruito per delle rappresentazioni teatrali, e che poi lo abbiamo escluso per quello che era invadendolo di teatralità, attraverso il suo trattamento figurativo prima che attraverso la teatralità dell'azione.

Quadri — Si, ma torniamo adesso direttamente alla Torre.

Aulenti — Il dramma di Hofmannsthal è il dramma della perdita di tutti i valori e della ricerca di identità di Sigismondo, ma anche di un'identità nazionale; ecco che allora l'inserimento in un'architettura del periodo precedente a quella in cui Hofmannsthal ha scritto questo dramma significa proprio ritrovare quel consolidamento, quella situazione stabile la cui perdita genera il dramma, e allora l'ancoraggio è proprio un luogo, questa stanza così orgogliosa, che dica che cosa era prima questo valore unitario, politico, sociale e culturale. Però fatta ad arte, ricostruita, riprodotta secondo le leggi della scenotecnica (se noi avessimo avuto a disposizione la stanza vera non si sarebbe fatta lì sicuramente La torre), infatti il rapporto ambiguo tra il reale e la finzione è molto importante proprio rispetto a questo testo così pieno e così slittato.

Quadri — Una volta costruito questo luogo, bisognerebbe adesso vedere come è stato usato, anche attraverso un'analisi dei suoi mutamenti scena per scena.

Aulenti — Una cosa che io ritrovo dopo — aldifuori degli elementi funzionali a ogni quadro che si sapeva dovevano essere reali: mattoni veri, fil di ferro vero, costruzioni vere, proprio per contrasto con l'ambiguità della stanza —, una cosa che io ho ritrovato dopo, è che l'azione teatrale, per ognuno dei sette quadri dei cinque atti (e qui sta un fatto molto preciso e specifico della personalità di Ronconi regista) ha determinato dei movimenti che derivavano sì dall'analisi del testo, e dalle modalità recitative in rapportò agli spettatori, ma che sono corrisposti, come lettura finale, alle uniche possibili tracce della geometria generatrice di quello spazio. Adesso te li descrivo in maniera grossolana. Nel primo quadro del primo atto, la posizione delle sedie, dell'altare, e degli altri elementi, descrivono il perimetro di questo luogo, l'azione teatrale percorre la stanza proprio come lettura perimetrale, salvo quando esce dalla sua prigione Sigismondo, e incontra il medico e Anton, i primi suoi interlocutori, ecco che si formano delle diagonali; Sigismondo quando esce si ferma esattamente nel centro. Ecco una lettura geometrica possibile di questo luogo: il perimetro, le diagonali, il centro. Nel secondo quadro, la scena tra Julian e il medico, il pubblico è disposto in centro e l'azione avviene su pedane alte due metri e mezzo, l'azione circola lì sopra: apparentemente è ancora una descrizione perimetrale, invece la posizione del pubblico rivolta in più direzioni e questo circuito dell'azione descrivono l'asse verticale, l'altezzza della stanza, questa spirale serve a determinare un'altra profondità spaziale mentre le pareti restano sospese là intorno. Nel terzo quadro, che è la scena del convento, entra con violenza una vera rete che divide in due la stanza, per la prima volta abbiamo la dichiarazione esplicita che questo è proprio un luogo finto, lo spacca in due, e quindi possiamo fare una lettura di questa stanza dai suoi elementi architettonici: le finestre, le porte, le lesene, i fregi, le cornici. La spaccatura in due agisce e rende chiara la ripetizione degli elementi. Nel quarto quadro, la scena della contadina, la disposizione dei reticolati determina l'asse longitudinale, tutti i percorsi conducono a questo asse: la disposizione degli altari, dei due recinti è diagonale, è aldiqua o aldilà di questa linea che è l'asse longitudinale. Nel quinto quadro, quello della reggia, lo specchio sul pavimento riflette il soffitto riportandolo in fondo, in basso del pavimento con una duplicazione per ribaltamento: ecco la lettura del baricentro geometrico. Nella scena invece del quarto atto quando ancora gli specchi sono a terra e sono solcati dalle linee labirintiche delle passerelle, c'è una lettura delle entrate e delle uscite delle porte, delle finestre. Tutte le passerelle vanno da un sistema principale, che è quello che collega le due pareti minori, a un sistema secondario che collega tutte le immissioni dalle pareti maggiori, quindi lettura degli elementi architettonici specifici del dentro e del fuori di quella stanza. Nel quinto atto, i due muri che stringono gli spettatori e l'azione al centro longitudinale della stanza, ancora ti danno una lettura di questo asse come nel quarto quadro, però alla fine i due muri si spaccano, si apre tutto, e ritrovi la stanza; è una lettura rigorosa e sintetica finale riscoperta dopo che l'azione è già stata tutta compiuta. Luca ha la capacità di condurre le azioni in una maniera geniale, il fatto che queste corrispondono anche alla lettura geometrica di un luogo, è chiaramente intuitivo, ma fino a un certo punto, perché trovarsi dentro un luogo e rispettarne i rapporti è un raro istinto che inevitabilmente porta a un approfondimento di pieno respiro.

Quadri — Scusa un'interruzione, un altro tipo di lettura geometrica la si leggeva anche nel Calderon...

Aulenti — Ecco, ma lì con un destino completamente diverso, una geometria determinata e completamente visibile, mentre nella Torre è generata dal contenitore. Nel Calderon la costruzione di tutti i diagrammi geometrici risponde a una necessità sulla quale fondare questo testo che non è teatrale, ma i diagrammi non tengono conto affatto di come è il Teatro Metastasio.

Quadri — Però la platea risponde a questa dimensione del cerchio, così come quando a un certo punto il percorso sceglie dei quadrati, fa in modo di ritrovare almeno su due lati il perimetro...

Aulenti — No, c'è un solo dato nella geometria del Calderon che coincide con la geometria del teatro e sono i due assi: longitudinale e trasversale uno, che corre dalla porta allo specchio, e l'altro quello del proscenio: quelli sono i due assi della costruzione dell'edificio, che rimangono anche nella costruzione della piattaforma del Calderon e di questa azione teatrale. Tutte le altre sono linee inventate, sono ricerca di un diagramma geometrico possibile come appoggio teatrale di quel testo.

Quadri — E che quindi sottolinea l'artificialità dell'azione.

Aulenti — Sì, i cerchi, gli specchiamenti dei cerchi, dei quadrati, delle diagonali sono cose che derivano semmai dalla lettura del quadro delle Meninas del Velasquez, sono artificiali e non corrispondono al contenitore, mentre nella Torre, c'è una corrispondenza precisa: se io devo descrivere con gli strumenti del disegno quel contenitore, se lo devo rilevare, farò quei segni, traccerò quelle linee perché sono quelle della misurazione di quel luogo, mentre se devo rilevare il Metastasio, quelle tracce non mi servono, mi servono solo i due assi.

Quadri — Comunque questi percorsi non sono stati indicati da te.

Aulenti — Questi qui no, assolutamente. Mentre il Calderon era una costruzione che si decideva atto per atto, con i relativi significati, invece questa della Torre è una lettura che io faccio dopo, e che quindi anche lo spettatore magari inconsapevolmente assume come percezione dell'azione teatrale, è una delle analisi possibili, qui non esiste un tracciato, mentre nel Calderon c'è un tracciato, un'esca.

Quadri — Adesso che si è vista la cosa come risultato, attraverso le linee stabilite dall'azione, vediamolo invece nella fase precedente, nel momento della strutturazione di questi interni.

Aulenti — Le prime decisioni riguardavano la costruzione degli elementi che dovevano essere veri, reali, appunto, di materiali veri, ecco allora, che cosa c'è di più vero e tangibile, dentro uno spazio artificiale, del mattone?

Quadri — Il mattone è stato una costante di questo Laboratorio, lo abbiamo trovato prima nelle Baccanti...

Aulenti — Sì, proprio per la sua realtà anche individualmente molto comprensibile legato, com'è alla manualità, alla riconoscibilità.

Quadri — E li dava delle indicazioni di costruzione e di chiusura, no?

Aulenti — Sì, il mattone serve appunto percostruire i pilastri delle Baccanti, gli altari della Torre, per costruire le pareti, quindi tutte le chiusure delleporte delle Baccanti e della Torre, serve alla costruzione del muro, dello sbarramento, del limite, del confine, dal quale non si esce o non si entra, si è dentro il muro o si è fuori, si è da una parte o dall'altra.

Quadri — E poi, oltre al mattone...

Aulenti — Vediamo un po' gli elementi... Per il terzo quadro, quello del convento, la grande rete che divide la stanza in due. Anche la rete dice l'impossibilità del passaggio, ma permette la visibilità delle due parti; il mattone esclude una delle due parti, la rete la discute. E poi i recinti di filo spinato, dai quali si esce, si può uscire, ma con difficoltà, si può entrare, ma con difficoltà perché impediscono, feriscono, sono i recinti del quarto quadro. Poi c'è un'altra impossibilità, quella dell'acqua nel sesto quadro, l'azione percorre le passerelle, l'altro luogo è vietato. Sono materiali fisici o simbolici che definiscono il concetto di separazione; i mattoni, la rete, i reticolati, l'acqua, servono a definire il luogo dove non si passa, segnano una serie di impossibilità complete o parziali.

Quadri — Ma sono anche stati utilizzati degli oggetti d'uso, come quelle luci che vengono usate sulle strade.

Aulenti — Sì, sono le lucerne a petrolio delle indicazioni stradali di lavoro in corso.

Quadri — Così come, non so, c'è un bidone della spazzatura, nella scena" del convento.

Aulenti — Il bidone della spazzatura serve a dire che chi è rifiutato non può passare la rete, ecco il bidone dei rifiuti, invece quelle lucerne e poi le candele, le lampade antivento, indicano tutte il rapporto col fuoco.

Quadri — Mentre poi si va a degli elementi di pura simbologia quando si costruiscono il trono e il letto per le scene della reggia come due scivoli contrapposti, l'uno coperto di telo nero, e l'altro prima nascosto e poi mostrato nella sua realtà di specchio.

Aulenti — Sì, il terzo atto (quinto quadro) è il più teatrale, viene agita la rappresentazione della corte e così si sono adottate queste trapunte molto grosse, queste grosse coltri nere, materassate e quelle bianche che chiudono le finestre della stanza indicando il sotterraneo, un luogo che sta sotto qualche cosa. La teatralità è data dall'uso di questi materiali che riconosciamo nelle sedi di culto, di cerimonia. I due scivoli, uno che rappresenta il letto della regina, dove Sigismondo è nato, dove la regina è morta, e l'altro il trono del re, si trovano di fronte, indicano il rapporto con la madre e il padre e dicono l'azione inevitabile del piano inclinato.

Quadri — Ma dentro l'interno determinato dalla sala riprodotta della reggia, ci può essere sia un interno che un esterno, perché per esempio la prima scena si svolge in esterno, così come il quarto atto.

Aulenti — Esatto, continuamente l'azione è dentro o fuori, o dentro ancora. Questa ambiguità viene avvertita dallo spettatore che si avvia al Fabbricone sino a quando ne esce, insomma, continuano ad esserci questi due rapporti, come dicevo prima, ambigui, dell'interno e dell'esterno, del reale e del finto, sono i due fili conduttori di tutto il tempo teatrale della Torre.

Quadri — Forse il gioco dell'esterno nell'interno era reso con più evidenza nei tuoi disegni iniziali. Ricordo per esempio nella prima scena la plasticità di una torre centrale, che poi è stata eliminata.

Aulenti — Sì, era un primo passaggio, perché è tipico di un progetto fare delle ipotesi, e poi tornare indiètro per verificarle con altri elementi, con continui passaggi in avanti e in indietro, per ritrovare il risultato che si vuole ottenere. Quella torre era un elemento che volevamo appartenesse al Fabbricone, esterno quindi al nostro contenitore scenico, era il luogo di Sigismondo, quello che poi è diventato l'altare. Molte varianti sono state fatte; credo che non abbia subito nessuna trasformazione la rete del terzo quadro, quello del convento, risultante da una definizione fatta sin dall'inizio, corrispondente a questo atto che è molto chiuso in se stesso (il rapporto del re con il Grande Elemosiniere), una parte del testo che si potrebbe dire quasi autonoma. Così come non ha subito trasformazioni il quinto quadro, quello della contadina.

Quadri — Ma nel tuo lavoro di preparazione in che conto avevi tenuto la presenza dell'attore in questo spazio?

Aulenti — Tutto il lavoro del Laboratorio ha esaltato il rapporto tra l'attore e il pubblico. Nella Torre una prima ipotesi era che il pubblico fosse fermo su un lato corto del contenitore, ma ci siamo accorti che escludevamo questo rapporto.

Quadri — Ma un primissimo rapporto previsto prevedeva il pubblico all'esterno, fuori dalle finestre...

Aulenti — Sì, anche questa era una delle ipotesi, il pubblico fuori dalle finestre; poi il pubblico fuori su una gradinata che guardava dentro la stanza considerata come un palcoscenico, anche se dilatato e abnorme; poi man mano che lo studio degli attori avanzava, si definì il rapporto con gli spettatori che così entrano insieme all'attore dentro il contenitore, ritrovando a ogni atto una situazione diversa.

Quadri — Ecco, questo mi sembra Un fatto fondamentale dello spettacolo, il fatto che il pubblico entri ogni volta, e sia sottoposto tra quadro e quadro a questa attesa che veniva molto biasimata, e giustificata come una conseguenza di difficoltà tecniche eccetera, ma che io penso faccia anche parte dello spettacolo.

Aulenti — Assolutamente sì.

Quadri — Dopo questa attesa così logorante, il pubblico viene reimmesso e si trova ogni volta nello stesso contenitore ma in un ambiente completamente diverso, e in una posizione diversa rispetto alla precedente che gli cambia tutti i tipi di rapporto...

Aulenti — Forse quegli intervalli erano effettivamente più lunghi del necessario, ma erano dati dal fatto che abbiamo operato uno spettacolo di grosse dimensioni tecniche in una città che ha gli apporti tecnici del Teatro Metastasio, e quindi legati a situazioni più tradizionali. Intervalli troppo lunghi diciamo, però era necessario uscire e rientrare in questo luogo, in un'altra posizione, con altri rapporti, determinati dall'azione. Quindi contenitore fisso e tutte le variabili, corrispondenti anche alla posizione di chi riceve l'azione teatrale e la rimanda; ottanta spettatori coinvolti in una azione teatrale a cui partecipano proprio come a un lavoro.

Quadri — E qui mi sembra molto importante il fatto che il pubblico sia dentro a questo spazio, dove non si trova a occupare la parte preponderante, perché è evidenziato in ogni momento che si tratta di uno spazio"per l'attore, in cui il pubblico è tollerato; e durante lo spettacolo lo spettatore sente fortemente questo...

Aulenti — ...il fatto di una intrusione.

Quadri — Sì, questo fatto di intrusione.

Aulenti — È una intrusione proprio per la posizione in cui 10 spettatore viene messo, contro le pareti, contro gli angoli, lungo una linea obliqua, lungo linee spezzate, dentro un pozzo, un cratere. Ma, una intrusione generatrice di energie.

Quadri — Ma il tipo di rapporto di linee con gli attori, in questo caso, è molte volte analogo con quello che si stabilisce con l'attrice unica nelle Baccanti, così come la situazione dello spettatore, il suo addossarsi ai muri, è simile alla situazione dello spettatore delle Baccanti.

Aulenti — Sì, assolutamente, la posizione dello spettatore rispetto all'azione che si svolge determina un peso, un baricentro, che è continuamente deviato, quindi c'è una ricerca, un'ansia inconscia di ricercare il proprio luogo, di ricercare 11 baricentro di quello che sta avvenendo, e è questa situazione così allarmante che coinvolge così criticamente.

Quadri — Sì, ma appunto, visto che si son citate le Baccanti, c'è un'altra analogia che poi magari è soltanto apparente, cioè qui si è parlato di un pubblico che continua a rientrare in uno spazio che ritrova diverso, là c'è una situazione di entrare successivamente in stanze, che cambiano o sono ogni volta riadattate, sia che ci siano veri e propri mutamenti ambientali sia che sia variata la posizione dell'attore o dello spettatore...

Aulenti — Questo è molto importante proprio perché, se l'azione teatrale crea un rapporto individuale e collettivo insieme, diversamente da quella del cinema che è collettivo, o di altri tipi di comunicazione, allora la molteplicità dei punti di vista è proprio quello che ti colpisce, ti scarica e ti fa ricomporre questo lavoro con un altro lavoro, lo spettatore partecipa quindi a un'azione, e fa un lavoro teatrale, è impossibile la passività.

Quadri — Tu parli di cinema e allora è il momento di sottolineare il fatto abbastanza singolare che questa struttura della Torre è nata simultaneamente per un uso teatrale e per un uso televisivo.

Aulenti — Proprio per il desiderio di Ronconi di verificare i due linguaggi, il linguaggio teatrale e il linguaggio televisivo. La comunicazione è differentissima, e questo lo puoi verificare proprio perché agisci con gli stessi attori, nello stesso contenitore scenico che viene colto dalla macchina da presa, dalla camera, in una maniera totalmente diversa da quella che è la percezione di uno spettatore.

Quadri — Sì, ma tu come architetto, costruendo questo environment, hai avuto a un certo momento di mira lo specifico televisivo più che lo specifico teatrale, o viceversa?

Aulenti — No, "lo studio che volevamo era il confronto dei due linguaggi appoggiandoci a delle costanti. Nell'azione teatrale gli oggetti sono percepiti sempre in rapporto a un insieme, invece la macchina da presa coglie il particolare, lo indica, lo sottolinea. Quindi ci son stati dei cambiamenti di disposizione, di insistenza di immagine. Luca ha girato per la Tv facendo degli spostamenti dietro la macchina, in maniera che gli attori si trovassero in posizioni diverse rispetto al contenitore, ma con lo stesso oggetto ripetuto; questo è proprio un carico di cui il linguaggio televisivo aveva bisogno perché c'è un tipo di riconoscimento diverso delle cose. La camera sceglie le sue figurazioni mentre lo spettatore ha mille possibilità di scelta, di mettere a fuoco una cosa escludendo le altre.

Quadri — Ma quando Luca pensava agli inizi alla messinscena della Torre, anche se invece che di televisione parlava magari di cinema, aveva sempre presente questa necessità di costruire un ambiente che fosse vero come quelli che si vedono in una ripresa per il cinema, ma finto allo stesso tempo come sono appunto le ambientazioni create in studio per un film.

Aulenti — Sì, però per la prima ripresa della televisione, quella dei titoli di testa, la camera percorre tutto un lato esterno della stanza vedendone la costruzione e il dentro dalle finestre, viene cioè data, anche al pubblico televisivo, la finzione. E con questo giustamente il cerchio si chiude, perché come ho già detto e ripetuto il tema di questa "rappresentazione", e metto questa parola tra virgolette, in conseguenza dei caratteri di ambiguità del testo, è costantemente quello della finzione e della verità.