Firma dell'appello La cultura in Italia

«Non possiamo accettare, pur consapevoli come siamo della gravità della situazione economica del nostro paese, che si pensi di colpire ancora il campo dello spettacolo. In undici anni, cioè da quando esiste, la dotazione del Fondo unico per lo Spettacolo è stata decurtata per ben quattro volte: sicché ogni nuovo eventuale taglio non costituirebbe un risparmio, bensì il suo contrario. Una spesa, infatti, non va valutata in se stessa ma in rapporto a quanto rende: e proprio nulla renderebbe se la si decurtasse ancora. (...) Non accettare pienamente questa richiesta confermerebbe l'impressione, ormai di molti, di una minima attenzione dello Stato verso un patrimonio culturale che non solo rappresenta un contributo primario alla sua stessa identità, ma che è anche una ricca fonte di rendimento economico, sia diretto, sia attraverso l'indotto. A parte l'intenzione di un ulteriore taglio del FUS, che alla fine pensiamo priva di fondamento per essere cosi evidentemente improponibile anche per i riflessi su una occupazione che riguarda circa 200.000 persone, non mancano prove di ogni genere del tiepidissimo interesse dello Stato italiano nei confronti dello spettacolo, quando non si tratti, come pare, di disinteresse. (...) Basti pensare che in cinquant'anni il teatro non ha ottenuto una legge che ne regoli la vita e i rapporti tra le sue componenti e che la musica e il cinema hanno leggi del tutto insufficienti e imperfette, che richiedono urgentissime riforme. Nessuna parte politica se ne è occupata a livello di studi profondi, com'è provato dalla leggerezza di recenti dichiarazioni alla stampa. Mentre è soltanto in leggi, in regolamentazioni attentamente studiate, negli indirizzi, nell'indicazione di metodi selettivi da un lato e di processi di sviluppo dall'altro che si potrebbero trovare non solo le economie, ma anche e soprattutto i mezzi per rendere fruttuosa al massimo la spesa pubblica. Soprattutto occorrono modalità che sostanzialmente devono tendere a identificare lo spettacolo a proporsi come avvenimento d'arte. Cioè sotto un aspetto non quantitativo ma qualitativo sul versante dell'arte, specchio di un'identità veramente culturale di un paese che ha sempre avuto nell'arte intesa in senso lato il posto e il carattere fondamentale della propria civiltà. (...) Coloro che firmano questo documento sono del tutto responsabilmente convinti che è venuto il momento non di ventilare tagli finanziari o di compiere operazioni di vertice per sistemare in qualche modo lo spettacolo italiano, ma di affrontare sul serio, lo ripetiamo con fermezza, il problema della vita dello spettacolo italiano per stabilire, democraticamente e costituzionalmente, un insieme di regolamentazioni legislative che siano improntate oltre che a correttezza, a criteri di valore, di scelte, di operatività e di evidenze di qualità "storiche"». 

Claudio Abbado, Gianni Amelio, Pippo Baudo, Luciano Berio, Ivo Chiesa, Maurizio Costanzo, Guido Davico Bonino, Sergio Escobar, Dario Fo, Carlo Fontana, Giorgio Gaber, Gianandrea Gavazzeni, Carlo Lizzani, Francesco Maselli, Mario Monicelli, Riccardo Muti, Giuseppe Patroni Griffi, Gillo Pontecorvo, Luca Ronconi, Franco Ruggieri, Maurizio Scaparro, Ettore Scola, Giuseppe Sinopoli, Giorgio Strehler, Paolo e Vittorio Taviani, Elda Tessore, Giorgio Vidusso, Franco Zeffirelli 

«Corriere della Sera», 16 settembre 1995