La serva amorosa

Autore:   Carlo Goldoni

Scene:   Margherita Palli
Costumi:   Giovanna Buzzi
Luci:   Sergio Rossi
Direttore d'orchestra dell'allestimento:   Pietro Pagnanelli

Regista Assistente:   Angelo Corti

Personaggi - Interpreti:
Ottavio - Franco Mazzera
Beatrice - Paola Bacci
Florindo - Luciano Virgilio
Lelio - Riccardo Bini
Rosaura - Daniela Margherita
Pantalone - Virgilio Zernitz
Corallina - Annamaria Guarnieri
Brighella - Elio Veller
Arlecchino - Giancarlo Prati
Ser Agapito - Angelo Jokaris
Servitore - Claudio Carini

Produzione:   AUDAC


Prima rappresentazione
Teatro Comunale, Gubbio (Pg)
10 maggio 1986

Foto / Bozzetti / Video

Le parole di Luca Ronconi


Non è vero che fra me e Goldoni non ci siano affinità: non ho affrontato per lungo tempo questo autore unicamente perché le opportunità organizzative non lo richiedevano. La vera divergenza può semmai esistere a proposito di uno stile registico che tende a proporci un Goldoni ballettistico e da commedia dell'arte (che tra l'altro l'autore non amava) e permeato da una vena nostalgica settecentesca).
Intervista di Loredana Lipperini
«Il Secolo XIX»
19 settembre 1986

Un testo nel quale vi sono già tutti i grandi temi del teatro borghese. Per questo ho voluto vedere i personaggi nella loro quotidianità senza manierismi. L'ho scelto perché volevo lavorare ancora con Annamaria Guarnieri, un'attrice che, malgrado sia arrivata al vertice della carriera, ama sperimentare, è disponibile alle cose nuove, a certe avventure del mestiere.
Intervista di Maria Grazia Gregori
«L'Unità»
24 settembre 1986

La scenografia non è un fatto ideologico: se serve, allora è un elemento importante, magari complesso, difficile; se non serve, allora ci rinunci. Cosa avrei dovuto fare, una cameretta del Settecento? Allora, te la puoi immaginare benissimo. (...) Prima c'era il Goldoni arguto, vispo, brioso; poi c'è stato il Goldoni 'poetico' fra virgolette. Questo testo è invece un tantino più greve, più acido. I personaggi sono tutti spiacevoli, stupidi, avidi, sensuali, egoisti. Anche Corallina, la protagonista, per me non è quello che pure potrebbe sembrare: un Figaro in gonnella che tutto fa per i suoi padroni. Mi pare piuttosto la descrizione di cosa è il servire; è la figura di una serva che non può essere altro che questo, con l'orgoglio e la fierezza della propria disponibilità a servire.
Intervista di Paolo Cervone
22 settembre 1986

Non è vero che fra me e Goldoni non ci siano affinità: non ho affrontato per lungo tempo questo autore unicamente perché le opportunità organizzative non lo richiedevano. La vera differenza può semmai esistere a proposito di uno stile registico che tende a proporci un Goldoni ballettistico e da commedia dell'arte (che tra l'altro l'autore non amava) e permeato da una vena nostalgica settecentesca. La mia lettura della Serva amorosa, che apparentemente è basata sul consueto motivo della domestica affezionata che risolve le pene amorose del padrone, non sarà tesa alla ricostruzione del quadretto d'epoca ma alla ricerca della modernità del testo.
Come mai la scelta è caduta su un Goldoni 'minore'?
A parte il fatto che il testo non mi sembra poi tanto 'minore', ho preferito non affrontare lavori che sono nella memoria di tutti, come La locandiera, proprio perché, venendo meno una tradizione scenica, non si può essere tacciati di tradimento e di convenzionalità. L'accusa potrà se mai riguardare il modo di mettere in scena l'autore, non il testo.
Intervista di Loredana Lipperini
cit.

Rassegna Stampa

dal "Patalogo"  

Per gentile concessione dell'Associazione Ubu per Franco Quadri


dal "Patalogo 10" (Ubulibri, Milano, 1987)

(Mi trovo) alle prese col personaggio di una vedova, di una persona più complessa di una fanciulla, che deve essere anche un po ' uomo, conosce il mondo, vive in rapporto con gli altri con un pizzico di sapienza in più, sta in solitudine, ma la sua solitudine è piena di forza. (...) Ci sarà soltanto qualche suppellettile, un letto, un comò. Ma non sapete cosa riesca a fare Luca con un letto, o con un comò.
Annamaria Guarnieri (Intervista di Osvaldo Guerrieri
«La Stampa»
18 settembre 1986

Una pigra consuetudine ottocentesca, avallata da letture superficiali, ha perpetuato la falsa immagine di un buon papà Goldoni, tutto equilibrato buonsenso e giulebbosi accomodamenti. Senza cadere nell'opposto eccesso del cinismo o della crudeltà, c'è da riconsiderare con un necessario distacco critico quante sotterranee, ma anche esplicite, vibrazioni innervino personaggi e vicende troppo frettolosamente contrassegnati con il marchio della bonomia.
Gastone Geron
«Il Giornale»
7 ottobre 1986

Sembra a prima vista un Goldoni non convenzionale solo per il fatto che odora di tragedia e di decomposizione, che galleggia nel lividume sociale e nella mediocrità psicologica. Ma sarebbe riconoscere al regista troppo poco, fermandosi a questa prima considerazione che vede comunque Ronconi già nella scelta del testo tendere a obiettivi precisi; e nella sua realizzazione fondere almeno tre elementi di fondamentale importanza. Il primo riguarda la dissezione dello spazio scenico. La serva amorosa ci presenta un mondo stantio, in relazione strettissima con i personaggi che lo hanno prodotto e da cui sono a loro volta negativamente influenzati. È un'accozzaglia di armadi, ottomane, cassettoni, sedie accatastate, specchiere opache. Nel corso dei tre atti le singole scene vengono separate dal tiro di un velario, e succede che la medesima camera ci appaia in prospettive differenti, con i mobili spostati (i cambi tra una scena e l'altra sono laboriosi, se pur abbastanza rapidi) come davanti a un occhio che si muove, che cambia l'angolo visuale. È il regista che fruga negli interni, lo spettatore che assiste ad uno smontaggio. Casa vera, casa di mobili tarlati setacciati dagli antiquari eugubini; scansie su cui appoggiare le pezze di stoffa e poltrone zoppicanti su cui sprofondarsi in smania o disperazione. Armadi da spalancare, per nascondere o nascondersi. Una scena-casa che non è un palcoscenico decorato, un vuoto da riempire, ma un referente dinamico la cui valenza oggettuale in movimento ha per esempio rapporti drammaturgici con la parola, che come sempre in Ronconi viene rappresentata anche in forme visive e auditive, gestuali. E siamo al secondo punto, allo smontaggio metodico della macchina testuale. Operazione come si sa cara a Ronconi, che qui non andrebbe neanche ricordata se la perfetta costruzione naturalistica da destrutturare non contenesse nella Serva amorosa alcune stimolanti contraddizioni. Se è vero che il regista vuole alludere qui al dramma borghese (il personaggio di Corallina fa da perno nell'intersecarsi di ben tre nuclei familiari: tre perché anche Florindo, che vive con la serva, ha messo su pur miseramente casa) accade che l'intreccio psicologico, lentamente concatenato alla partitura parola-movimento (lo spettacolo dura circa quattro ore con gli intervalli) si faccia succhiare dalla centrifuga di un meccanismo sotterraneo e implacabile. Allora capiamo anche il senso di quelle pause, di quel ritmo spezzato dai cambi di scena; la ragione profonda di quella lentezza riflessiva e quasi riluttante. L'attesa non deve esistere, la 'macchina' vince sul testo. Ma non sempre è così, perché La serva amorosa riesce soprattutto a affascinare e mai a irritare, come è avvenuto quando Ronconi si è lasciato prendere troppo dal suo stesso gioco di contrappesi dinamici (o statici). Qui, e siamo al terzo punto, anche l'interpretazione dei personaggi e la recitazione degli attori smitizza la sincronia goldoniana di maniera per divenire invece conseguenza di quanto avviene nell'equilibrio instabile tra scena e vita, nello spazioluce delle passioni smontate, nella lentezza delle emozioni sempre interrotte. All'esatto rapporto tra situazione e carattere si improntano solo alcuni personaggi, ma il più delle volte rafforzano recitando la disordinata, ansiosa tendenza emotivonevrotica alla prevaricazione. Quella che sul piano spazio-temporale li ha già rinchiusi nella scatola scenica delle case ingombre e dell'inedia. Spicca comunque per coerenza, per resa drammatica e per alta sensibilità induttiva l'ammirevole Corallina di Annamaria Guarnieri, il motore femminile di una macchinazione a fin di bene, con agnizioni, lieto fine e matrimoni finali. Nella chiave nera e melanconica di Ronconi questa Corallina potrebbe essere un'eroina del rifiuto, un'Hedda Gabler anticipatamente ipocondriaca.
Sergio Colomba
«Il Resto del Carlino»
7 ottobre 1986

Le maschere ormai sottratte alla Commedia dell'Arte richiedevano l'invenzione di uno stile aldifuori di arbitrari e scontati clichés: ed ecco, sui diversi gradini che conducono dalle parti fisse alla trasformazione in personaggio, l'impeccabile Pantalone del misuratissimo Virgilio Zernitz, ormai conquistato all'imborghesimento, il Brighella dell'ottimo Elio Veller galleggiare in una sorta di realismo rarefatto, l'Arlecchino di Giancarlo Prati, vivere tra lo stupore e l'attesa la sua emarginazione in una creazione indimenticabile dagli effetti comici irresistibili e inquietanti: un comportamento trasognato rotto dalle improvvise accelerazioni psicomotorie di una nevrosi che sostituisce il lazzo, con momenti di immersione poetica nello sfascio decadente della città dei suoi padroni, come quando raccoglie dall'immondizia le pezze con cui colorare il proprio vestito ormai integrato.
Franco Quadri
«Panorama»
26 ottobre 1986

dal "Patalogo 11" (Ubulibri, Milano, 1988)

Tredici piazze europee, una puntata a New York, e 18 teatri ospitanti in Italia. Non c'è male, per i complessivi nove mesi di tournée che quest'anno attendono La serva amorosa di Goldoni diretta da Luca Ronconi, prima esperienza produttiva dell'Audac, l'Associazione umbra per il decentramento artistico e culturale. Io abito da quelle parti, in Umbria - ha puntualizzato il regista - e quando mi libero dagli impegni non mi dispiace concentrarmi lì, operare in condizioni ideali, anche se con pochi mezzi. Mi interessano le nuove forme di collaudo produttivo. Le significative, tante tappe che La serva amorosa compirà, lo trovano smaliziato. Rìschi? E perché? L'estero è Parigi, Berlino, New York. Un buon nostro spettacolo è cugino di un buon allestimento in programma da loro. L'aspettativa, qui, verte su un confronto, non su una rivelazione.
Rodolfo Di Giammarco
«La Repubblica»
7 settembre 1987