Wagner alla Scala
Ciò che si ammira come fatto totalmente originale nella regìa di Luca Ronconi è una lettura ravvicinata della partitura che si fa esame amorosissimo della musica […] questo costante sporgersi sulla scrittura del Maestro è pensato sempre con una disposizione che presuppone le didascalie dell’autore. […] La lettura che Ronconi fa della musica di Wagner rinuncia alla convenzione come tramite insostituibile per trasformarsi in uno studio appassionato, approfondito e amoroso sulla convenzione. […] Per questa ragione nella creatività visiva di Ronconi possono entrare benissimo ed essere accostati gli oggetti interni, i tavoli ed i divani del salotto ottocentesco, allo stesso modo delle rocce e dei cavalli della porta di Brandeburgo. Gli oggetti di questo regista si fanno infatti luoghi inventivi della fantasia compositiva wagneriana. […] Ronconi arriva in questo modo a dire cose che la scena della Tetralogia non aveva mai conosciuto e scioglie l’armatura nibelungica pietrificata […] per condurre un discorso che mira al cuore delle cose con la sensibilità di oggi. Questa capacità di parlare di una cosa e di lasciare scaturire la profondità invisibile del pensiero che simultaneamente la attraversa per mezzo di un gioco sottilissimo ed affascinante di metamorfosi, di allusioni, di lampi della memoria, viene da una specie di trascrizione in chiave scenica della tecnica compositiva del Leitmotiv.
Duilio Courir
«Corriere della sera»
7 marzo 1975
Un grande «Sigfrido» alla Scala
Ronconi […] ci offre uno spaccato sociologico sul mondo wagneriano ed una sorta di saggio critico sull’autore in forma di spettacolo […] oggi Wagner […] va colto nella sua vivida e contrastata evidenza spettacolare, che non rinuncia anche alla sorpresa visiva, precipua del pensiero registico di Ronconi […].
Mario Messinis
«Il Gazzettino»
9 marzo 1975
Applausi a Sigfrido contrasti su Ronconi
La regìa di Luca Ronconi, sempre elaborata in stretta unità con le scene e i costumi di Pier Luigi Pizzi, è ricca di eventi ed esuberante (mentre quella della Walkiria era riduttiva) […] una regìa modulata su vari registri, […] ma forse non così nuova come molti dicono, e lo si può misurare sulla recitazione dei singoli personaggi. […] E stupisce che anche in un allestimento così curato e autorevole sul piano figurativo, questa parte si affidi al noto repertorio di gesti, sguardi e sorrisi della buona tradizione.
Giorgio Pestelli
«La Stampa»
9 marzo 1975
Un manesco Sigfrido tra Hitler e anarchia
Dopo la Walkiria liberty un Sigfrido scabro, irto di punte polemiche e politiche […], tra comunismo e anarchia, dominato dalla maledizione dell’oro. L’interpretazione non è gratuita. Wagner […] è un seguace di Bakunin e di Proudhon, con venature cristiane e buddiste […]. Chi è Sigfrido? Ronconi ce lo mostra in pantaloni di pelle e camicia bruna, a mezza via tra l’iscritto alla Hitler Jugend e lo studente extraparlamentare. […] Mime […] chiuso nella sua fornace: non una caverna romantica ma un angolo di officina Krupp, invasa da montagne di carbone. […] L’anarchico Sigfrido si trova nel mezzo di una lotta di classe di cui non comprende i termini. […] La spada risolve la lotta di classe: ammazza Fafner e lo spoglia delle ricchezze, uccide Mime, mette in fuga Alberico. […] E la lotta di classe? Sigfrido, alla fine, opta per Pasolini scoprendo, con un secolo d’anticipo, che la rivoluzione si realizza nell’eros […].
Rubens Tedeschi
«L'Unità»
9 marzo 1975
Alberico, in cui Ronconi e Pizzi hanno visto qualcosa fra Sindona e Paperon de Paperoni.
Gino Negri
«Panorama»
20 marzo 1975
Wagner secondo Luca
I connotati ebraici prestati ad Alberich e a Mime, quasi divenuti i “due ebrei, uno ricco e l’altro povero” del quadretto di Musorgskij: […] un odio avverso i due “nani” inequivocabilmente razzistico […] è obbiettivamente nella musica, soprattutto nelle furie di quel loro dialogo, d’effetto pressoché atonale […].
Fedele d’Amico
«L'Espresso»
23 marzo 1975
Anche la scena della grotta e del drago, che è quella realizzata con i mezzi più lontani pensabili dalla tradizione, lascia però intatta la sua funzione drammatica, cioè la Paura: il drago è sostituito da un gruppo minacciosamente ondeggiante di una decina di loschi figuri, sullo sfondo di un risucchio prospettico, tipo Urlo di Munch: scena, anzi colpo di scena, in sé avvincente anche se prelevato alla civiltà figurativa dell’espressionismo […].