Orfeo ed Euridice


Personaggi - Interpreti:
Orfeo - Julia Hamari

Maestro direttore e concertatore:   Riccardo Muti
Maestro del coro:   Roberto Gabbiani

Scene e costumi:   Pierluigi Pizzi

Coreografie:   Geoffrey Cauley


Allestimento:   Maggio Musicale Fiorentino


Prima rappresentazione
Teatro Comunale, Firenze
18 maggio 1976

Foto / Bozzetti / Video


Rassegna Stampa

Orfeo ed Euridice sospesi nel sogno

Un marchingegno architettonico, tetro nel complesso, pur se levigato e lucido al punto che pavimento e pareti siano specchi delle figure che si riflettono duplicate e moltiplicate in ogni movimento. I movimenti sono lenti e morbidi, sicchè Luca Ronconi cala la vicenda come in un acquario, in uno scatolone di vetro brunito, affumicato, al di là del quale i personaggi, come in un luogo appartato e asettico, rievocano, quasi sciogliendosi da una ibernaxione, la vicenda che li assilla. […] Quando alla fine, viene celebrato il Trionfo d'Amore […] i due si trovano al cospetto di manichini senza volto. La vita si offre ai loro occhi come allucinazione. Sul palcoscenico siedono anche alcuni strumentisti, mentre d palchetti innalzati ai lati del proscenio si affaccia la gente a guardare con indifferenza. Il tutto sempre con una morbidezza di mano e di intenzioni.
Erasmo Valente
«L'Unità»
20 giugno 1976

Orfeo è disceso in un ambiguo 700

Ancora una volta nell'inquadramento visivo si sente la mano formante e affascinante di Ronconi. Si sente una lettura di laboratorio, di studio: certi criteri di metodo che troviamo in tutto il suo lavoro, qui sono di nuovo presenti. Nella realizzazione, nel gesto, negli spazi di continuità che i creano tra la musica e il palcoscenico, nella proiezione visiva che riesce a parafrasare i fatti musicali vengono fuori soprattutto il melos e la commozione di Ronconi. La maliconia qui, come nell'opera, è una categoria totale, non un carattere storico. Per formarsi visivamente si serve di apporti e sovrapposizioni inpastate dalla straordinaria sensibilità di Pizzi. Dall'immagine böckliniana dell'Isola dei morti che domina il primo atto, come nella rabbrividente scena degli inferi, dei ricordi mortuari dei Cappuccini di Palermo, della terrifica voluttà, funebre dell'Escurial, dell'opacità del timbro di Latour, dell'evidenza delle tombe che si scoperchiano sul palcoscenico come nel Medioevo. Naturalmente alla fine Ronconi si scopre con grande sobrietà. L'aura tragica non si appaga di un finale che avvenga attraverso la concatenazione logica degli avvenimenti, attraverso il percorso della ragione umana, ma richiede sempre la dimensione ultraumana el'interventounltraterreno. Ronconi si vale di questa soluzione per far scorrere una carrellata sul Settecento, un Settecento ambiguo. Nelle figure femminili nere con gli archi, infatti, viene sempre fuori il gusto vittoriano dell'estetica del funerale e della sentimentalizzazione dolente. Questo squarcio del velo dell'aura tragica e sentimentale mette in mostra il quotidiano settecentesco: il balletto viene presentato come un consueto di allora che si porta dietro uno sguardo su di un'epoca. Si tratta di un Settecento malinconico, un po' sfatto.
Duilio Courir
«Corriere della Sera»
20 giugno 1976

Orfeo cerca Euridice e la trova alla Morgue

Orfeo e Euridice, prima opera della riforma di Gluck, è nota, come si sa in due versioni: quella viennese: pomposa, statica, levigata, e quella francese, più vistosa, leggera, appariscente. La versione che il Maggio ha scelto è, contrariamente al solito, quella viennese. […] Pizzi e Ronconi hanno azzeccato […] proprio il gelo dell'opera originale, la sua staticità, il suo non voler godere. Il paradigma è, ovviamente, il terzo atto, quello meno rallegrato dall'invenzione melodica e tutto teso ad una dimostratività algida e asettica. E allora lastre di plastica riflettente a volte trasparente per creare ambienti che specularmente si dilatano con progressione geometrica; e ne abbiamo di tutti i tipi. Allora riduzione della gamma cromatica al bianco e nero, con poche eccezioni. […] l'obitorio con i loculi illuminati a d evidenziare i cadaveri, che costituisce l'alveo della scena degli inferi, raggiunge lo scopo, perfino gli Elisi, con quei cipressi di lava che compaiono già nell'epicentro di Euridice, e quelle parteti di neri specchi sormontate da un cielo irrealmente bianco, congelano la scena nel segno di una fredda, atroce bellezza: un inferno come in paradiso, insomma, i morti, sono proprio morti: che è un'idea illuministicamente accettabile.
Michelangelo Zurletti
«La Repubblica»
20 giugno 1976

Il «caso Ronconi»

La regia si imposta in termini dialetticamente nuovissimi, sul binomio amore e morte, percorrendo simultaneamente due versanti del tema: quello del recupero, oltre il mito, archetipico, dalla vicenda misurata sull'azione dei sentimenti tra l'onirico e l'immaginario; e quello del gelo impenetrabile della morte del corpo, amato con tale annullamento da farne guida sensuale verso visioni infere, quasi un processo di identificazione con la morte stessa, nei suoi aspetti più repulsivi, nell'illusorio slancio contro alla probabilità che l'amore può avere di provocare un nuovo contatto, fisico o metafisico, con l'oggetto amoroso.
Rodolfo Tommasi
«Il Teatro Comunale di Firenze»
Firenze, Studio GE9, 1987