Orfeo torna all’inferno
Musica che Luca Ronconi ha immerso in una finzione scenica mirabilmente librata tra il realistico e l’allusivo, non trascurando le venature ironiche delle quali è screziata la vicenda: il tutto animato da un immaginario barocco di gusto materico, fatto di oggetti citati, come il grande organo svettante, tasteggiato da Orfeo, la raggiera dorata che sorregge l’apparizione di Venere e del suo corteggio, l’onnipresente cupola romana.
Giovanni Carli Ballola
«L'Espresso»
7 luglio 1985
«Orfeo», musica anche per l’occhio con le «macchine» del mago Ronconi
Agile traliccio infiorato che accoglie crinoline e ombrellini dai colori tenui, per una festa nuziale; una possente torre-colonna che alla fine si solleva, col suo paesaggio desolato, per rivelare un inferno simile al cimitero egizio ritratto nella Sphinx mistagoga di Athanasius Kircher: […] immagini, nette e quasi sempre accarezzate o scavate da luce radente, inventate da Ronconi, col corredo rispettivo dei gesti, calcolatissimi, d’ogni personaggio (pestar di piedi per la figura comica di Momo, le attitudini patetiche di Euridice, il volo lieve, su in aria, di Amore, ripreso nelle movenze dalla Vecchia minacciosa giù in basso).
Maurizio Papini
«Il Giornale»
13 giugno 1985
Un Orfeo del ’600 espugna la Scala
La prima scena, con quell’interno di cupola […] che sembra l’interno di una nave sul punto d’affondare o di rovesciarsi, è la metafora di un cammino d’interiorità accidentato e colmo di smarrimento. Ma tutta l’opera, guidata dalla mano di Ronconi, è percorsa da una vibrazione lenta, profonda, intensamente elegiaca, una vibrazione che consacra il barocco ad una limpidezza malinconica […].
Duilio Courir
«Corriere della Sera»
12 giugno 1985