La Damnation de Faust

Musica:   Hector Berlioz

Personaggi - Interpreti:
Mefistofele - David Wilson-Johnson
Margherita - Norma Fantini
Brander - Enrico Turco
Epilogo sulla terra (Basso solo) - Enrico Turco
Voce del cielo (soprano solo) - Angela Venturino

Maestro direttore e concertatore:   Hubert Soudant
Maestro del coro:   Sandor Gyüdi, Massimo Peiretti
Maestro del coro e del coro di voci bianche:   Mauro Bouvet

Scene:   Margherita Palli
Costumi:   Carlo Diappi
Regista collaboratore:   Mauro Avogadro


Allestimento:   Teatro Regio di Torino
in coproduzione con:   Opéra Nationale de Paris


Prima rappresentazione
Teatro Regio, Torino
21 febbraio 1992

Foto / Bozzetti / Video

Le parole di Luca Ronconi


Devo premettere che lo spettacolo è nato per il palcoscenico del teatro Regio di Torino, uno spazio di per sé fortemente caratterizzato, per struttura ed estetica, da un segno contemporaneo: ho voluto quindi imprimere alla mia regìa un carattere secco, asciutto, assolutamente lontano dallo stereotipo […] di questo mito romantico. […] Ogni volta che si mettono in scena vicende e personaggi tratti dal Faust di Goethe […] è necessario, a mio avviso, prendere le distanze dall’originale […] pur dovendo dare un’interpretazione visiva alle vicende evocate dalla musica di Berlioz, mi sono voluto espressamente astenere da una drammatizzazione vera e propria. Il coro, ad esempio, compare sempre sostanzialmente immobile e le danze sono state affidate a un gruppo di bambini, proprio per evitare un carattere […] da grand opéra, che sentivo fortemente contraddittorio rispetto alla poetica di Berlioz in quest’opera […] la musica multiforme di Berlioz non deve essere imprigionata da una univoca lettura scenica che mutilerebbe le potenzialità evocative proprie dello spirito romantico […]. Ciò che si vede in scena non deve ricalcare la musica ma anzi deve lasciarla libera, quindi potrebbe andare anche, paradossalmente, in una direzione opposta.
dal programma di sala (ripresa alla Scala, stagione '94-'95

Ho cercato quel sottile senso d’ironia che l’opera contiene. Un’ironia velata di melanconia. Per natura sono avvezzo a cercare gli spunti comici in opere considerate serie […]. Per il Faust ho cercato di intridere la mia regìa di poesia e senso tragico […].
Intervista di Gabriella Mazzola
«Il Giornale del Popolo»
19 maggio 1995

Rassegna Stampa

Il regista sembra soprattutto aver assorbito la geniale lettura lasciataci da Fedele d’Amico. Berlioz anticipa lo sganciamento […] tra la realtà sonora e la logica discorsiva della musica. […] La sua musica non dà voce a sentimenti o contenuti etici ma semplicemente raffigura, e chiede di essere fruita appunto come mero “spettacolo”. Ronconi dunque ha costruito una sorta di secondo spettacolo autonomo, come autonoma è la musica, ma dialetticamente legato a quello musicale: anche il consueto utilizzo di grandi macchine teatrali è facilmente appaiabile alla grandiosa “macchina orchestrale” di Berlioz.
[n.d.r.] Il riferimento è a Fedele d’Amico, Berlioz cent’anni dopo , in «Chigiana», n.s. 6-7, 1969, pp. 77-103, ora in Id., Un ragazzino all’Augusteo. Scritti musicali , a cura di Franco Serpa, Einaudi, Torino 1991, pp. 111-138.
s.n.
«L’eco di Bergamo»
13 maggio 1995
Occorre un regista eccezionale per vivere una simile avventura sulla scena lirica. Per Ronconi […] è un invito a nozze […] ci trasporta in una vorticosa cavalcata sulle ali dell’immaginazione dove il medioevo faustiano si fonde col ribellismo di Berlioz e di tutti gli spiriti liberi dell’ieri e dell’oggi: una cavalcata fantastica che inizia con la carrozza di Faust volante sulle piane ungheresi e prosegue – in un gioco ininterrotto di velari, di scorci, di quadri luminosi, di meccanismi operanti nel fondo o nella volta del palcoscenico – in una proliferazione di immagini e di apparizioni: genietti alati in pose caricaturali, gnomi con barbe e palandrane accademiche, corazzieri meccanici usciti da un carillon, e vi via, seguendo l’estro profetico e sarcastico del musicista sino all’inferno architettonico, popolato di demoni sadomasochisti sui quali un solitario angioletto vola verso un improbabile paradiso.
Rubens Tedeschi
«L’unità»
13 maggio 1995
Ambientato in origine su palcoscenici ad alta vocazione tecnologica, ha un po’ faticato a combinarsi con spazi e contesto architettonico di un teatro storico, ma la magia sinistra c’era tutta […] il racconto scenico […], sospeso in un limbo onirico acceso dalle immaginose trovate che hanno come comune punto di partenza il metodico ribaltamento dei parametri prospettatici e delle attese figurative annunciate dal testo, procede per bagliori. Lo fa anche la musica. Vediamo la natura come dall’alto, schiacciata sul fondale con oggetti in precaria sospensione; ci ipnotizza il festone di centinaia di rose sospeso sul destino di Margherita. Ci abbaglia d’orrore la notturna cavalcata infernale che seguiamo con l’occhio di diverse macchine da presa e non possiamo che sorridere alle mini-Ciccioline che diventano rosei spiriti dell’aria o al grottesco balletto dei fuochi fatui.
Angelo Foletto
«La repubblica»
13 maggio 1995
Lo spettacolo di Ronconi rappresenta una fra le letture più radicali che un regista possa apportare all’interpretazione dell’opera […] senza spiegazione rimane la partecipazione numerosa e disordinata dei bambini danzatori: prima ignudi, poi barbuti e in frak non sono mai sincroni tra di loro, né tantomeno con la musica. […] Questa visione dolciastra del mondo dei bambini non piace […]. L’idea di Ronconi era di miniaturizzare i sentimenti, di alleggerire col passo lieve di bambini il mito di Faust. Così invece si va a pari col tono melenso delle pubblicità dei prodotti per l’infanzia. Parimenti sarebbe stato meglio evitare (anche se purtroppo è un guaio comune negli spettacoli ripresi non dall’autore) la carrozza che si inceppa a metà percorso, la tela del bosco tirata di sbieco e tutta la ferraglia dei rumori dietro le quinte.
Carla Moreni
«L’avvenire»
13 maggio 1995
Ogni qual volta le regìe di Ronconi hanno un che tra l’equivoco e l’ibrido, la volontà dell’autore non è rispettata. Ronconi ha una tale passione per i macchinari di scena da far supporre che attraverso le sue regìe realizzi un inconscio desiderio di ingegneria meccanica. Se il connubio tra immagini e musica gli è così estraneo di conseguenza penso che non ami i cantanti se li fa cantare sospesi in posizioni anomale.
Marcella Pobbe
«Il giornale di Vicenza»
26 maggio 1995