Aida

Musica:   Giuseppe Verdi

Personaggi - Interpreti:
Amneris, sua figlia - Ghena Dimitrova
Aida, schiava etiope - Maria Chiara
Radames, capitano delle guardie - Luciano Pavarotti
Ramfis, capo dei sacerdoti - Nicolai Ghiaurov
Amonasro, re d'Etiopia e padre di Aid - Piero Cappuccilli
Un messaggero - Ernesto Gavazzi
Una sacerdotessa - Francesca Garbi

Maestro direttore e concertatore:   Lorin Maazel
Maestro del coro:   Giulio Bertola

Scene:   Mauro Pagano
Costumi:   Vera Marzot


Allestimento:   Teatro alla Scala di Milano


Prima rappresentazione
Teatro alla Scala, Milano
07 dicembre 1985

Foto / Bozzetti / Video

Le parole di Luca Ronconi

Luca d’Egitto


L’Aida è comunque un’opera a grande spettacolo. E la nostra Aida avrà scene […] tradizionali […], e sarà uno spettacolo realistico. Ma insieme visionario, esotico, nello spirito dell’esotismo ottocentesco che confondeva stili, confini. L’immagine del trionfo faraonico non sarà la piramide bell’e costruita […], ma il momento della costruzione della piramide. E ci sarà il deserto egiziano, e i colori del deserto che però non sempre sono quelli che ci si aspetta. Spesso il deserto è azzurro.
Intervista di Giovanni Buttafava
«L'Espresso»
10 novembre 1985

Ronconi: «Ecco la mia “Aida” per la Scala»


Credo che siano soprattutto i fatti privati a prevalere. […] La tomba nel finale io la vedo come una zona sprofondata, non piccola, al contrario.
Intervista di Mario Pasi
«Corriere della Sera»
20 novembre 1985

Sorgono dal deserto monumenti e passioni


Parlando […] di questa Aida, ho sottolineato l’importanza della “tradizione”, che comunque è necessario rispettare, e il rifiuto delle “convenzioni”, ovvero di tutte le falsità che vengono contrabbandate per verità ad uso di facili consumi. […] Non sono condizionato dall’immagine dell’Egitto di oggi, che non ho visitato […] mi sono messo i panni dell’esploratore ottocentesco, che con immenso stupore vede emergere dalla terra (la sabbia, il deserto, che è anche un mito) le grandiose opere dell’uomo. […] il compositore, ricostruendo mentalmente i monumenti dell’antico potere, e quindi le grandezze di un’epoca lontana, entrava in qualche modo nello spirito dei nuovi monumenti della scienza. Sfingi, templi, piramidi erano opera di architetti della fede, canali e bonifiche i prodotti degli scienziati del progresso. Poiché Aida doveva celebrare avvenimenti gloriosi, Verdi, che non conosceva l’Egitto del suo tempo, li identificava nei trionfi. Ed era un traduttore perfetto[…]. Per me tradurre l’Ottocento in linguaggio odierno, abbandonata la convenzione […], come nei Dieci comandamenti di De Mille, […] significava rispettare le tradizioni per meglio interpretare la storia (un kolossal comunque). Ma come? Riscrivendo l’epoca verdiana coi modi dell’ultima generazione del cinema di scoperta e di avventura, in una nuova ricerca dell’arca perduta. In quest’arca si muovono gli eroi di Aida, riportati alla luce dopo un lungo oblio, con tutto il peso di fatiche,guerre, violenze. […] Può darsi che la società di Aida fosse anche aperta ai piaceri: […] la tradizione vuole che l’Oriente o l’altro mondo, rispetto alla civiltà dei “bianchi”, contenga un po’ più di eros. […] Non credo che si possa dire che questa Aida è diversa dalle altre, nel senso di un rovesciamento di valori e di immagini. È l’Aida di Verdi, rivista con amore e senza orpelli. Credo che tutto sia riconoscibile, anche se nulla è convenzionale. Spero che il dramma d’amore e morte che l’opera contiene emerga chiarissimo […]. Perché il racconto proceda secondo logica, e senza parentesi di puro edonismo […], abbiamo sostituito le danze con azioni di mimi.
«Corriere della Sera»
7 dicembre 1985

Scandalosa «Aida», come la «Traviata» di Visconti


Noi abbiamo voluto rifarci a quello che ci rimane ancora oggi di una grande civiltà, guardando alla concretezza del relitto e all’archeologia, anziché all’arbitrio della ricostruzione. […] Nella mia Aida, come accade nella nostra storia, ogni cosa è carica di sedimenti, di memorie, di eredità, di passato. […] Aida non è un’opera di guerra. Lo stesso Radamès è un sognatore che diventa guerriero per amore e non un condottiero […]. È un personaggio che diventa eroe malgré lui. […] Qui c’è la […] volontà di rendere attendibile una vicenda non perché si è sempre fatto così, ma fondandola sullo studio amoroso della cultura che ha certamente contribuito a generarla e che va interpretata con delicatezza e fantasia.
Intervista di Duilio Courir
«Corriere della Sera»
11 dicembre 1985

E' diversa anche la commissione della Scala per un’Aida inaugurale o per un’Aida che si svolge nel corso della stagione. Per non dire che la commissione di un’Aida con Pavarotti è già diversa da un’Aida senza Pavarotti. Da sempre il compito di un regista d’opera è di mettere insieme degli elementi dati, senza determinare la scelta di quegli elementi. Quando la Scala decide di fare l’Aida per l’inaugurazione, deve tener conto di quel che significa la cerimonia ‘inaugurazione della Scala’, che in qualche modo prevarica l’idea di Aida come opera teatrale e musicale. Di fronte a questa richiesta d’occasione, di volta in volta, a seconda dei tuoi umori, delle tue scelte, ti puoi mettere in una posizione o in un’altra. Puoi decidere una volta di essere pro inaugurazione, e una volta di essere anti inaugurazione. E questo è in qualche modo l’unico margine di autonomia: però devi sempre sapere che stai lavorando per l’inaugurazione, che entri in rapporto con quel pubblico e solo con quello. [...] Credo che il peso divistico, pubblicitario di Pavarotti sia tale che è sbagliato pensare a Pavarotti come qualche cosa di diverso da ciò che è, e da quello che la gente vede di lui. Anche se la presenza di un cantante di questo genere impone dei condizionamenti, sarebbe sbagliato pensare di fare una regia superando quei condizionamenti. Ci sono, vanno rispettati, e in qualche modo inseriti nello spettacolo. [...] Per esempio se è vero che Pavarotti è un grandissimo cantante, non è altrettanto vero che sia un grandissimo attore. Sarebbe disennato immaginarsi un’Aida che punta tutto sui valori della recitazione, anche negli altri personaggi, perché comunque non potrebbe esserci uniformità.
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«Inventare l'opera»
Ubulibri, 1986, pp.15-17

Rassegna Stampa


[…] quel prestigioso massacro dell’Aida di cui la pietas scaligera di tanti miei colleghi vi ha tenuto all’oscuro.
Fedele d'Amico
«L'Espresso»
19 gennaio 1986

Dietro le quinte del trionfo

[…] un paesaggio […] ampio, affocato e triste […] sulla cui distesa grava come una minaccia incombente la dimensione della verticalità […] il colpo grosso di Ronconi, una volta stabilito questo modulo spaziale, è la scena del trionfo […] non vi è alcuna sfilata […], bensì […] il retroscena un po’ angoscioso della festa, a dare la misura del clima di […] ferocia che domina l’orizzonte sacrale dell’opera.
Gian Paolo Minardi
«La Gazzetta di Parma»
9 dicembre 1985

L’Egitto di «Aida» emerge dal deserto

Peccato soltanto che in questo magnifico spettacolo […] la gestualità dei cantanti non sia stata […] controllata dal regista […].
Mario Messinis
«Il Gazzettino»
9 dicembre 1985

Così l’hanno giudicata i “Vip”

Sandro Pertini: «Mi piace moltissimo, è un’Aida eccellente. […] Mi sto distendendo spiritualmente». […] Ornella Vanoni: «La messinscena rimane molto formale e abbastanza scarna […]». Camilla Cederna: «[…] Le signore volevano a tutti i costi gli elefanti». […] Valentina Cortese: «È stupenda, tragicamente bella. Per chi è abituato all’Aida tradizionale forse resta qualche perplessità. Ronconi ha però strappato l’anima e la sanguinosità dell’Egitto». Gianni De Michelis […]: «Per competenza Ronconi va assegnato al ministero dei Trasporti». […] Mariuccia Mandelli (Krizia) […]: «Mi aspettavo un po’ più di coraggio ronconiano. Nel I atto non c’è stato. Ma, nel trionfo di Radamès, è venuto fuori».
«La Repubblica»
8 dicembre 1985

Una «marcia trionfale» tutta di statue

Ebbene, è giusto dire che stavolta Ronconi, pur appropriandosi della materia forse al di là del lecito, non ha prevaricato […] egli ha fatto un Egitto così Egitto che più Egitto non si può. È lecito chiedersi, tuttavia: quale Egitto? […]. Ronconi ha scelto di fare un Egitto per così dire ottocentesco, quello degli scavi […]. Tutto ciò risultava altamente suggestivo; ma era davvero verdiano? Direi di no. La soluzione archeologica ronconiana poneva una distanza cronologica, fra noi e la vicenda scenica […]. E l’evocazione musicale di Verdi, invece, è realistica, come sempre; è in presa diretta. […] Altro elemento ronconiano tale da lasciar perplessi era quello relativo al «movimento». Il regista dev’essere, per eccellenza, colui che «muove le masse» […]. Ma Ronconi non ha mosso le masse, appena appena ha fatto agitare, sotto la sferza dei sorveglianti, torme di schiavi intente a trascinare statue […]; ma […] della polemica sociale che in tale impostazione p essere implicita, nella musica di Verdi non v’è traccia.
Teodoro Celli
«Il Messaggero»
9 dicembre 1985

Tanti applausi: ma fu vera «Aida»?

Lo spettacolo […] ha avuto molti ingiustificabili contrasti col senso della musica […] per vere e proprie mancanze di musicalità da parte del regista, che pure sembrava essere intenzionato nel migliore dei modi […]. Per questo dobbiamo dire che la indubbia abilità di Ronconi, teatrante di talento, si è risolta ancora un volta in una distrazione dalla musica e non in una sua interpretazione.
Leonardo Pinzauti
«La Nazione»
9 dicembre 1985

Tragedia di solitudini e di amori sconfitti tra le rovine di un Egitto di sofferenze

È la scoperta, appena fuggevole, di luoghi che esistono nel sottosuolo dei ricordi. Un ammasso di memorie di pietra che emergono, sfilano, scivolano, giganteggiano, ingombrano, incombono, sprofondano e scompaiono. È un Egitto disseppellito che gronda sudore e macina sofferenza. E gli eventi, quelli di un melodramma dal sapore di romanzo popolare, si dissolvono in una allucinata poetica che tramuta in una sorta di elegia ai vinti, agli sconfitti, persino quell’ora d’esultanza egizia per i vincitori. […] Si può anche dissentire […] il teatro vuole anche gesti di coraggio e invenzioni che sanno dare il senso della storia […]. Il melodramma poi […] deve significare recupero pieno della sostanziale verità drammaturgica e di ascolto. Questa Aida che la regìa di Luca Ronconi ha tratto dall’archeologia della memoria, recupera la sua primitiva essenza di tragedia.
Egidio Saracino
«Avvenire»
9 dicembre 1985

Il perenne conflitto fra potere politico e religioso

La regìa di Ronconi, in chiave sociologica, ha distrutto la favola vera che Verdi voleva ed ad essa ha sostituito una sorta di ricostruzione della società egizia basata su una interpretazione di essa alla luce delle moderne ideologie e dei moderni miti. […] Ma veniamo alla parte positiva di questa regìa: la figura della protagonista è intuita come in costante progresso e, più si avvicina alla catastrofe, più ritrova la sua regalità […]. Non possiamo concludere queste note senza ritornare un istante su un punto che interessa l’impostazione generale dello spettacolo: il contrasto fra potere religioso e potere militare e politico; non possiamo dimenticare che l’opera è stata composta intorno agli anni Settanta […]: è di questo periodo il Sillabo. Non voler tener conto della realtà storica che nell’antico Egitto vede i due poteri contrapposti e della realtà […] che influisce su Verdi durante la composizione è, oserei dire, una grave omissione […].
Urbano Stenta
«La voce repubblicana»
21 dicembre 1985
Luca Ronconi conduce da anni un lavoro coerente e rigoroso intorno all’opera verdiana […] sono tasselli di un intrigante discorso metateatrale, un affondare disincantato nelle mitologie borghesi dell’Ottocento, una demistificazione dei «topoi» sacrali del personaggio-Verdi come il suo patriottismo, o la sua liberalità ideale. La partitura di Aida […] è stata evocata in immagini sfumate, come attraverso uno specchio deformato che riflette i dipinti di Ingres e Delacroix e le riminiscenze di una civiltà faraonica remotissima, irrimediabilmente dissolta. Un Egitto archeologico in simbiosi con la pittura pompieristica […], dove i personaggi si autorappresentano come in una tragedia raciniana. Dimensione privata ed intimissima, quindi, dove anche i momenti celebrativi e monumentali si sovrappongono come memorie storiche ed oniriche depositate in qualche angolo dell’inconscio.
E.P.
«Babilonia»
Gennaio 1986

Una mantiglia per l’Aldilà

Alle prese con un’opera pacchiana come l’Aida, Luca Ronconi ha giustamente e felicemente fornito uno spettacolo neo-pacchiano e post-Kitsch […]. Ma come vestire Aida al momento del fatal pietra? […] Nessun immaginario potrebbe forse oltrepassare la fantasia della soluzione scaligera: bellissima, bravissima […], Maria Chiara scende nella tomba egizia (donde lieto uscì poco prima l’esploratore della Rosa purpurea del Cairo […]) abbigliata da fandango da sera, mantiglia, Siviglia, sangrilla, e anche paella, e Marbella.
Alberto Arbasino
«La Repubblica»
28 dicembre 1985

I trionfi dell’«Aida»

Grande curiosità […] era […] di vedere come Ronconi se la sarebbe presa con tutti i condizionamenti convenzionali di un’opera così bloccata entro formule sceniche ineludibili […]. Ci si è preso, tutto sommato, con molto rispetto e diligenza. Non ha ceduto a tentazioni d’attualizzazione dell’azione […]. Unica devianza dalle prescrizioni sceniche, la soppressione della sfilata militare durante la marcia trionfale, ma questa non è poi un’innovazione sensazionale […] Certamente è uno sbaglio musicale. Una marcia è una marcia e deve far camminare qualcheduno, se no non ha senso. In particolare, la celebre modulazione alla dominante che la rilancia a metà percorso, perde ogni ragion d’essere se non è contrassegnata in scena da qualche fatto visivo. A parte questo, Ronconi non ha fatto stranezze. Certamente ha fatto piazza pulita di tutto l’armamentario […].
La Stampa
«Massimo Mila»
10 dicembre 1985

Spettacolo sì: ma per «Aida» è ancora poco

Luca Ronconi […] concepisce invece Aida come un sogno d’Egitto attraverso gli spessori della storia […]. Idea affascinante, suggestiva, anche se non si riesce a capire se nasca più dalla musica di Verdi, dalla diagnosi delle componenti strutturali della storia del teatro ottocentesco, o da memorie dei fumetti di Nilus. […] C’è però un grosso guaio. Attorno a questa idea, Ronconi ha cercato di far tornare i conti con la verosimiglianza dell’azione, costellando lo spettacolo di aneddoti imbarazzanti. […] E non riusciamo, nel muover delle enormi rocce, a immaginare un viaggio illusorio nostro, come se fossimo noi con i personaggi a muoverci in mezzo alle cose. Imbarazzo che proveremo anche più avanti, con Amneris che sembra scendere in ascensore ed apparire in una scaffalatura, per cantare «Pace, pace», perché non si è risolto il rapporto tra la stupenda città sotterranea e la necessità di far vedere un rappresentante del mondo dei vivi che pregava. Il che getta sospetti sull’idea generale, e sul rapporto con Verdi.
Lorenzo Arruga
«Il Giorno»
9 dicembre 1985

Alles ziehet und zerret und legt sich zum Sterben

Verona e Hollywood sono dimenticate. Se in futuro si tratterà di trovare nuove misure per gigantografie prive di senso sul palcoscenico, bisognerà citare Luca Ronconi. Con la sua messinscena di Aida […] ha detronizzato senza fatica Cecil B. de Mille e consorti. […] Nessuna traccia di ironia, di distanziamento in questo spettacolo. Ronconi fa evidentemente sul serio, come purtroppo si evince dalla rappresentazione.
Rolf Fath
«Die Welt»
14 dicembre 1985

«Aida», opera di fantascienza

Il suo è un Egitto evocato da una memoria visionaria e delirante, lontanissimo però dalla sontuosa ostentazione di un colossal alla De Mille; sembra piuttosto tolto di peso a una fiaba fantascientifica, cui del resto si adatterebbe perfettamente, con la sua trama semplice e efficace, quasi archetipica. È un mondo diviso in due classi inconciliabili, come quello di Metropolis: da una parte un popolo muto di schiavi […]; dall’altra i potenti, gli «eroi» del bene e quelli del male, cui sono concessi i sentimenti e la lingua per esprimerli. […] il I atto si apre su un deserto rubato all’iconografia dello scorso secolo: ma quel dirupo di arenaria rossa potrebbe benissimo essere lo sfondo di un western, o il panorama spettrale di una qualche luna di Dune. […] Nel II atto l’immaginazione macchinistica di Ronconi […] mette in moto un fantasmagorico girotondo di gigantesche sfingi […]. La seconda parte dell’Aida gioca invece su spazi mentalmente più chiusi, da delirante affresco collettivo si trasforma in tragedia familiare, con i personaggi schiacciati da cupe e imponenti architetture […]
Oliviero Ponte di Pino
«Il Manifesto»
10 dicembre 1985