Il dramma che ieri sera ci è stato offerto al Teatro Valle è opera del più deciso romanticismo. Ma la firma del poeta non ci impedisce dal considerare con estrema diffidenza quest’opera ineguale, arruffata, incompleta, non rivista e non maturata: tant’è si è pensato lo stesso di porla in scena. E così abbiamo udito per quattro ore – tante ne dura lo spettacolo – le tragiche avventure di Lorenzino de’ Medici, giovine di nobile origine e di singolare intelligenza deciso ad eliminare almeno un tiranno dalla faccia della terra, sia poi il tiranno Papa Clemente VII o il duca Alessandro de’ Medici, signore dissoluto e ripugnante di Firenze.
Non si capisce perché si sia scelto un lavoro come questo, che comporta fra l’altro circa cento personaggi, una ventina di scene, e poi musiche, e comparse e scene a non finire.
Da qualche tempo il nostro teatro vive in una follia di grandiosità preoccupante. Non sappiamo quanto sia costato lo spettacolo di ieri sera, molto, certo troppo. E le scene e i costumi di Zuffi furono sontuosi e preziosi, e belle le musiche, e curate le luci, e ricche le stoffe: solo la recitazione lasciò a desiderare. Perché gli attori non parvero né disciplinati né – soprattutto – fusi e il protagonista ondeggiò senza una linea precisa in tentativi esteriori e compiaciuti.
P. M. T.
«Il Paese»
24 dicembre 1954
Di questo «Lorenzaccio» sino ad oggi non ci è mai accaduto d’assistere, né in Italia né in Francia a un’interpretazione convincente. Fra l’ineguaglianza dei toni, molte scene di superba bellezza, che nel poeta giovanissimo (Musset aveva ventitré anni) già rivelano il genio. E queste, crediamo, hanno allettato Luigi Squarzina al formidabile cimento di riportare il dramma sulla ribalta del Valle, a capo d’una compagnia d’attori quasi tutti giovani o giovanissimi. Il risultato è stato di gran classe.
Per noi la virtù vera del regista è consistita nell’animosa intelligenza con cui egli ha preso di petto un testo così superbamente diffuso: e grazie a tagli discreti e accorti spostamenti di dialoghi e istantanee successioni di quadri, v’ha scoperto e rilevato una progressione, un'evidenza propriamente teatrale ed effetti patetici e tragici con una sicurezza degna d’un maestro.
Impossibile contare gli applausi prodigati agli attori, tutta un’aristocrazia, una popolazione, una città, un mondo sinfonicamente concertato e gratamente commentato anche dalle musiche di Goffredo Petrassi che soltanto la nostra incompetenza ci impedisce di lodare per esteso come vorremmo.
Silvio d'Amico
«Il Tempo»
Non credo che «Lorenzaccio» sia mai stato recitato per intero, nemmeno in quella rappresentazione che fu data nel 1927 alla Comédie Française e che viene considerata in Francia come la prima integrale esecuzione scenica del dramma. Non tutto è bello in questo intricato, folto, sovrabbondante, affresco storico.
Luigi Squarzina ha tentato coraggiosamente l’impossibile sfrondando, tagliando, fondendo, riunendo senza intaccare la sostanza del testo.
Lo spettacolo, che lo stesso Squarzina ha diretto e concertato, è di una nobile unità stilistica.
[…] Il pubblico ha seguito la recita con vivo interesse, ha ammirato lo spettacolo nella sua ricca orchestrazione ed ha tributato alla fine della rappresentazione lunghi e unanimi applausi a tutti gli esecutori.
Ermanno Contini
«Il Messaggero»